Omelia per l’ordinazione presbiterale di Luca Gentili e Salvatore Ficarra, 8 dicembre 2022

Omelia per l’ordinazione presbiterale di Luca Gentili e Salvatore Ficarra, 8 dicembre 2022

Omelia per l’ordinazione presbiterale di Luca Gentili e Salvatore Ficarra, 8 dicembre 2022

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Omelia per l’ordinazione presbiterale di Luca Gentili e Salvatore Ficarra, 8 dicembre 2022

 Omelia per l’ordinazione presbiterale di Luca Gentili e Salvatore Ficarra

Spoleto, Basilica Cattedrale, 8 dicembre 2022

La solennità dell’Immacolata ci invita a rendere lode a Dio perché ha riservato a Maria di Nazareth il meraviglioso dono di essere santa fin dalla concezione, di non essere cioè mai sfiorata dal peccato e dal male. Il mistero che celebriamo incoraggia e conforta dunque il nostro cammino, spesso incerto e oscuro, illumina il senso della storia e rischiara di luce anche i momenti difficili e trepidanti che il mondo sta vivendo. Esso afferma infatti che nelle vicende dell’umanità, malgrado ogni apparenza contraria, c’è una sorgente pura da cui sgorga un torrente di grazia che continuamente rinnova il mondo.

Il libro della Genesi, ascoltato nella prima lettura, ci dice che l’uomo, posto da Dio al centro della sua opera creatrice, non ha voluto dialogare con lui, si è ribellato al suo disegno, ha preferito un futuro diverso, ha usato male la libertà che gli è stata donata. Il brano evoca per contrasto l’esperienza di Maria: l’Immacolata è il segno della vittoria di Dio, perché proclama la libertà dall’eredità del peccato. E noi sappiamo che Maria ci è vicina, ci aiuta nella lotta quotidiana contro ciò che si oppone al Vangelo e alla costruzione di un mondo che sia riflesso del regno di Dio. Oggi la Madre di Gesù ci assicura che ciascuno di noi può essere colmato della grazia divina, perché siamo chiamati ad essere «santi e immacolati nella carità», come ci ha appena ricordato san Paolo. L’origine e il termine dell’uomo non sono il non senso, il caso o il caos, ma la certezza di essere amato e lo svelamento pieno di questa certezza.

Ma il tono della liturgia di questa sera è dato principalmente dal testo evangelico. Maria ha detto sì e si è fatta serva del suo Signore: «Eccomi: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38). Non ha detto altro, ma proprio questo sì e questo servizio – che d’ora in avanti la identificheranno – hanno permesso al sogno di Dio di farsi storia entrando nella sua vita e di dare inizio a quell’umanità rinnovata di cui lei è l’esempio più perfetto. Alla luce di quel sì inizia il suo cammino: eccola frettolosa andare incontro alla cugina Elisabetta con le intenzioni della carità e dell’amore (cf Lc 1, 39-44). Maria non porta qualcosa, porta Qualcuno. E nella casa di Elisabetta rivela che il Messia è venuto, che il tempo è compiuto.

Lo stesso sì di Maria, i suoi atteggiamenti interiori ed esteriori, la stessa sua generosità e il medesimo suo affidamento al piano di Dio come il suo spirito missionario, oggi vengono richiesti a voi, cari Luca e Salvatore, che vi accostate trepidanti a questo altare per ricevere il dono altissimo e tremendo del sacerdozio di Cristo. In voi infatti si rinnova il mistero della Chiesa, che è quello di essere un popolo di chiamati; in voi rifiorisce, nel suo valore sempre creativo, il gesto d’amore infinito con il quale Gesù interpella e sospinge alla sequela: «Vieni, seguimi» (cf Mc 10, 21). Non possiamo infatti dimenticare che alla radice più profonda del nostro essere sacerdoti, come del nostro essere cristiani, vi è la chiamata, vi è l’iniziativa divina carica di amore, vi è l’appello e la scelta di Dio in Cristo Gesù.

Per questo il Maestro può dire ai suoi apostoli – e in loro anche a noi – «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15); per questo dice ora anche a voi: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20, 21). Ogni giorno della vostra esistenza dovrà misurarsi su questo impegno, dovrà ripetere, con la trepidazione di Pietro: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21, 17). Soltanto questa apertura e disponibilità a Cristo e agli altri vi darà la gioia, senza rimpianti, di esservi lasciati “afferrare” dal Signore Gesù (cf Gv 16, 22) e di avergli donato non solo qualche tempo o qualche aspetto della vita, ma la vita tutta intera.

Questa adesione ferma a Cristo Signore richiesta ai presbiteri delinea una sorta di loro “carta di identità”: essi sono quei cristiani che consegnano lealmente e lietamente la propria vita al supremo Pastore, unicamente perché egli se ne serva, e non per un progetto di autorealizzazione; sono coloro per i quali «l’Agnello sarà il loro pastore» (Ap 7, 17) e lo seguono dovunque vada, perché in loro la gioia di essersi lasciati chiamare per nome ha azzerato la smania di farsi un nome. L’unica ambizione legittima, l’unica gratificazione consentita per un sacerdote è quella di scomparire totalmente dietro il suo unico Signore, al punto da immedesimarsi completamente in lui, fino a poter dire come san Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). Nel nostro mondo occidentale che sprofonda nelle sabbie mobili di un narcisismo pervasivo e dilagante, solo uomini che hanno deciso per una follia d’amore di perdere la testa dietro a Cristo e di perdere la vita per il suo Vangelo potranno aiutare molti a ritrovare la propria vita e la propria testa. «O meraviglia che si possa così donare ciò che per se stessi non si possiede. O dolce miracolo delle nostre mani vuote!», sospirava il Curato di campagna. Perché da queste mani passa l’amore di Cristo che salva il mondo…

Cari Luca e Salvatore, insieme con i vostri genitori e familiari vivi sulla terra o vivi nel cielo, insieme con quanti hanno curato la vostra formazione e ai quali dico la mia e nostra viva gratitudine (e penso specialmente al Seminario Regionale di Assisi e alle comunità parrocchiali dei Santi Pietro e Paolo, di Bovara e di Trevi, di Cannaiola e di Montefalco con i loro parroci), insieme ai tanti amici che questa sera vi fanno corona, ci rallegriamo perché per mezzo vostro e nel ministero che qui iniziate Dio continua a prendersi amorevole cura di tutti noi che siamo suo popolo. In questa Basilica Cattedrale che celebra il Giubileo della sua dedicazione – e ricorda a ciascuno l’eccelsa dignità e l’esigente compito che gli sono stati conferiti: «Voi siete la dimora del Dio vivente» (cf 2 Cor 6, 16) -, è tutta la Chiesa di Spoleto-Norcia che, con il suo Vescovo, i sacerdoti, i religiosi ed i fedeli laici, vi accoglie con gioia e speranza ed attende da voi la parola che salva e il sacramento che la edifica. Gesù infatti non forma i suoi solo alla comunione, ma li proietta nella missione. Se la sua prima parola è «seguitemi», l’ultima è «andate». E il seguire è già in vista dell’andare. Fra poco, carissimi, compirete un passo che segnerà tutta la vostra vita. Per sempre. La Chiesa vi attende; gli uomini, vicini o lontani, vi aspettano ed hanno bisogno di voi. Come Gesù nel Vangelo, non potete rimandarli digiuni: hanno fame e sete di Dio, hanno bisogno della sua parola e del suo pane che salva (cf Mc 6, 35-44). Andate loro incontro con cuore sereno e fiducioso: come servi, come amici, come ministri di Cristo e dispensatori dei suoi misteri.

E, finalmente, la liturgia che stiamo celebrando provoca tutti noi ad una riflessione: c’è per ciascuno una strada che si chiama risposta alla chiamata del Signore, e bisogna che ne prendiamo reale coscienza perché impariamo ad essere fedeli. Il gesto di Luca e Salvatore conferma e corrobora la nostra fede, forse titubante e incerta, dà alla nostra speranza un palpito nuovo; il loro esempio, la loro gioia, la loro serenità sia testimonianza che ci scuote, perché questo evento non ci trovi soltanto spettatori, ma ci veda personalmente coinvolti nell’impegno della fedeltà alla vocazione battesimale. E allora permettetemi di rivolgermi specialmente ai giovani qui presenti: la nostra Chiesa – quella che vi ha generato alla vita di Dio e alla fede – ha bisogno di voi e tende con fiducia la mano: nessuno avrà il coraggio di impegnarsi per il Vangelo e per il servizio dei fratelli scegliendo la via del sacerdozio? Ripeto: c’è qualcuno che voglia interrogarsi seriamente circa la possibilità di diventare prete? Credetemi: «Chi fa entrare Cristo nella sua vita non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che la rende libera, bella e grande… Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo» (cf Benedetto XVI, Omelia, 24 aprile 2005).

Carissimi Luca e Salvatore, vi accompagniamo con la nostra amicizia e la nostra preghiera: la Vergine Maria metta nel vostro cuore il suo sì e con la sua intercessione vi ottenga di conformare tutta la vita all’azione salvifica di Gesù, sommo ed eterno sacerdote. Venite dunque, e salite fiduciosi l’altare del Signore (cf Sal 43, 4) per ricevere la grazia dello Spirito. E «il Dio della pace vi renda capaci di ogni opera buona e compia in voi tutto ciò che gli piace per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (cf Eb 13, 20).

 

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