OMELIA ALLA MESSA CRISMALE, 5 APRILE 2023

OMELIA ALLA MESSA CRISMALE, 5 APRILE 2023

OMELIA ALLA MESSA CRISMALE, 5 APRILE 2023

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OMELIA ALLA MESSA CRISMALE, 5 APRILE 2023

Omelia dell’Arcivescovo alla Messa Crismale

Spoleto, Basilica Cattedrale, 5 aprile 2023

Fratelli carissimi nel sacerdozio,

  1. Saluti e preghiera

Questa liturgia eucaristica è per tutti noi ogni anno un segno della comunione ministeriale e della missione pastorale che ci legano gli uni agli altri. Lo riconosciamo ancora una volta – sempre con meraviglia e in azione di grazie – dopo aver attraversato la Porta Santa e mentre accogliamo fiduciosi il dono prezioso dell’Indulgenza Giubilare. E preghiamo: «Ti ringraziamo, Padre, perché siamo chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio (cf Is 61, 2. 6). Ti ringraziamo perché ci hai unti con quell’olio di esultanza che hai effuso su Cristo, sommo ed eterno sacerdote. Ti ringraziamo perché ci hai mandati per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion».

Nei confronti di tutti e di ciascuno mi faccio volentieri interprete del sostegno, della gratitudine e della intercessione del popolo cristiano, che ammira la dedizione con cui i sacri ministri svolgono il quotidiano servizio pastorale. Abbraccio con animo fraterno i presbiteri che – per salute, per età o per ragioni personali – non partecipano oggi a questa concelebrazione, mentre insieme con voi faccio memoria riconoscente dei nostri confratelli chiamati nel corso dell’anno alla liturgia del Cielo: mons. Giampiero Ceccarelli, don Guerrino Conti, don Gaetano Conocchia, don Antonio Diotallevi, don Gianfranco Formenton. Nello stesso tempo, ci uniamo all’azione di grazie di quanti celebrano un anniversario particolare di ordinazione:  don Luciano Avenati e don Salvatore Piga 50 anni; don Jozef Gercàk, don Kamil Ragan e P. Pio Spigarelli, 25 anni.

E saluto cordialmente voi tutti, cari fratelli e sorelle, che con noi costituite e rappresentate qui tutto il popolo di Dio raccolto nella Chiesa diocesana di Spoleto-Norcia. La vostra presenza questa sera ci dice quanto vi sta a cuore il nostro ministero: vi chiedo la carità di continuare ad accompagnarci con la preghiera e l’amicizia, affinché possiamo essere annunziatori miti e coraggiosi del Vangelo, fedeli dispensatori dei divini misteri, lieti ed accoglienti nel servizio delle comunità.

  1. La coscienza di missione

Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, Gesù si presenta quale inviato di Dio, di cui parla la profezia di Isaia (61, 1). Molte altre volte nei Vangeli esprime la sua coscienza di missione dicendo «sono venuto per»: «Il Figlio dell’uomo è venuto … per portare a compimento la Legge e i profeti (Mt 5, 17), per portare il fuoco sulla terra (Lc 12, 49), per portare non la pace ma la spada (Mt 10, 34), per chiamare non i giusti ma i peccatori (Mc 2, 17), per cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19, 10), per servire e dare la vita in riscatto per molti (Mc 10, 45)». Egli sa che tutto il suo agire è obbedienza alla volontà del Padre che lo ha mandato e che tale volontà deve essere affermata contro ogni ripugnanza contraria; così infatti pregherà nel Getsèmani: «Abbà, Padre! Tutto ti è possibile, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14, 36).

Gesù trasmette la coscienza di missione agli apostoli e alla Chiesa, che invia nel mondo davanti a sé per annunciare il Vangelo e guarire i malati (cf Mc 6, 2; Lc 10, 1), per mietere il grano maturo (cf Mt 9, 38 e Gv 4, 38), per invitare tutti alle nozze del figlio (Mt 22, 3), per portare la Buona Novella a tutte le genti e fare discepoli da tutte le nazioni (cf Mc 16, 15 e Mt 28, 19). Il mandato loro conferito affonda le radici nel mandato stesso di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20, 21).

  1. «Chi manderò e chi andrà per noi?»

Cari confratelli, tale coscienza di missione risuona oggi con particolare urgenza e gravità anche per la nostra Chiesa diocesana. È diversa dalla semplice disponibilità ad eseguire le indicazioni ricevute, dal generico invito a darsi da fare, dall’ingegnarsi ad escogitare qualcosa di nuovo. È una coscienza sacra e santa, che viene dall’alto, tocca il fondo del cuore, pervade e illumina la mente, accende il fuoco dell’amore, non può venire meno, spinge a guardare con scioltezza e fiducia ai pericoli e agli ostacoli di qualunque genere e da qualsiasi parte vengano. La sorgente profonda della nostra forza sta nella certezza di avere una missione e nella fiducia che, con l’aiuto di Dio, ci sarà dato giorno dopo giorno di chiarire e di esplicitare in maniera concreta come la missione debba essere attuata nelle circostanze del nostro tempo.

La riconferma delle promesse presbiterali, che stiamo per compiere, non è il semplice ricordo di un evento passato, ma l’impegno ad essere preti “oggi”, in questo “cambiamento di epoca” segnato da travagli e contraddizioni. Il mandato infatti non ci giunge solo da lontano e trasmesso per pura tradizione orale o scritta. È il Signore risorto e vivente che ogni giorno, mediante la voce esterna della Chiesa e la voce interiore dello Spirito Santo, manda me e tutti voi per una missione da compiere che ha senso per l’oggi e un significato cruciale per la gente e la Chiesa di oggi. Ciascuno di noi è interpellato dalla voce di Dio che risuona nel tempio e domanda: «Chi manderò e chi andrà per noi?» (Is 6, 8).

  1. Una sofferta carenza di clero

La missione ricevuta, che interpella senza sosta la nostra coscienza, provoca seria riflessione, profonda preoccupazione e coraggioso impegno, che voglio condividere anche con voi, cari fratelli e sorelle che partecipate a questa liturgia. Con meno di 30 sacerdoti sotto i 75 anni di età e con l’aiuto prezioso di alcuni presbiteri religiosi, occorre provvedere a 71 parrocchie. Con sano realismo, dobbiamo prendere atto di non poter più assicurare al ministero pastorale le modalità pratiche che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che fino ad oggi abbiamo più o meno conservato. Non ci possiamo accontentare ancora una volta di qualche aggiustamento; è necessario assumere con determinazione provvedimenti radicali per rispondere in modo rinnovato all’esigenza di trasmettere il Vangelo, di stare come Chiesa tra le case della gente e di offrire alle persone e alle comunità una reale esperienza di Cristo con l’indicazione di un cammino qualificato per essere discepoli autentici.

Anche la Chiesa primitiva ha sofferto per carenza di personale dedicato esclusivamente al ministero: in poco tempo i Dodici si trovano di fronte a migliaia di persone e sono come sommersi dal moltiplicarsi delle attività (cf At 2, 41. 48; 4, 4; 5, 14; 6, 1. 7). Sono così condotti dalle circostanze a ridistribuire gli incarichi e a delegare i servizi, procedendo su una duplice base: anzitutto con la certezza che il Signore era loro vicino e li avrebbe comunque sostenuti nella missione fino ai confini della terra (cf Mt 28, 19; Lc 24, 47); ma insieme con la scioltezza nel far emergere nuovi ministeri e nuovi collaboratori, rispondendo volta per volta alle diverse situazioni secondo l’ispirazione di Dio e con l’attenzione ai momenti e alle consuetudini locali.

Se noi siamo ora di fronte ad una sofferta carenza di clero – e dobbiamo prevedere che essa andrà crescendo in maniera preoccupante almeno per i prossimi anni -, occorre che ci riportiamo agli atteggiamenti della Chiesa primitiva e proviamo ad imitarla sia nella fiducia nella Provvidenza, che suscita sempre collaboratori adatti per il ministero, sia nell’ingegnosità e nell’apertura a tutte quelle soluzioni che una riflessione ragionevole ci ispira. Ci guida e ci sostiene la certezza che il Signore, attraverso tali difficoltà, vuole dirci qualcosa e farci scoprire nuovi carismi presenti nella nostra diocesi. Perché se non vogliamo trovarci disorientati o, peggio, oppressi, se vogliamo rimanere fedeli al mandato del Signore di pascere il suo gregge, è da saggi muoversi a preparare il futuro imprimendo fin d’ora nuove modalità al servizio pastorale.

  1. Una risposta coraggiosa e innovativa

In questa prospettiva, ormai da anni abbiamo dato vita alle Pievanie, «soggetto pastorale al servizio dell’evangelizzazione, con una forma strutturalmente definita e riferita ad un’area territoriale culturalmente omogenea», avente come «finalità principale non quella di garantire i servizi religiosi in una situazione di scarsità di clero», ma di «realizzare una pastorale d’insieme, con una presenza più qualificata e più significativa sul territorio, anche se magari ridotta» (Regola pastorale delle Pievanie, 29 giugno 2019, n. 3, p. 7).

Il Consiglio Episcopale e il Consiglio Presbiterale hanno condotto un attento discernimento sulla situazione attuale, e hanno voluto «ripensare una Chiesa che vada all’essenziale, che non si accontenti di fare sempre le cose che sono state fatte, che assuma il criterio della creatività per essere significativa per gli uomini e le donne di oggi» (Chiesa di Cristo. Chiesa per il mondo, 17 ottobre 201, p. 27). E hanno visto che è venuto il momento «di mettere in atto delle forme di presenza pastorale coraggiose e innovative, reinterpretando il concetto di parrocchia, il ministero del parroco e degli operatori pastorali, le modalità dell’evangelizzazione» (Carta d’intenti, 8 settembre 2022, p, 14).

La scelta operata si configura così non come una ritirata strategica a fronte delle difficoltà e del venir meno delle forze, né come un qualche ingegnoso artificio istituzionale per mantenere le posizioni, ma è generata dallo sforzo di leggere i segni dei tempi, connotati anche da condizioni problematiche e di sofferenza, al fine di promuovere un rinnovato slancio evangelizzatore.

  1. Le nuove Pievanie

Si è dunque unanimemente deciso di confermare l’istituzione della Pievania, nella quale convergono le parrocchie di una intera zona pastorale, dando origine ad un unico soggetto canonicamente costituito, con figure ministeriali destinate al suo servizio e provvisto di alcuni elementi identificativi, quali una sede e una denominazione. Ciò richiederà anche la ricollocazione ministeriale dei sacerdoti e una diversa definizione di quelle comunità che da tempo non sono più in grado di assicurare gli elementi fondamentali necessari per essere considerate parrocchia.

Un solo presbitero – con il titolo di pievano – sarà riferimento unitario per la Pievania, essendo anche canonicamente parroco di tutte le singole parrocchie che la compongono (can. 526 § 1). Egli eserciterà il ministero con i sacerdoti del territorio e ne sarà coordinatore, in stretta comunione di intenti e di atteggiamenti, per la realizzazione di un medesimo progetto pastorale, anche con forme concrete di vita condivisa, all’interno di una più intensa relazione con i fedeli laici che partecipano con un proprio specifico contributo alla cura pastorale della comunità. Sarà prezioso in questo ambito il coinvolgimento dei diaconi permanenti, con l’attrattiva del realismo umano e pastorale che nasce dalla ordinarietà di vita di cui ciascuno di essi fa esperienza.

È chiaro che le tipologie sono differenti e che sotto il nome di Pievania potranno essere intese forme e modalità diverse di collaborazione tra presbiteri, diaconi permanenti e fedeli laici. Questa possibile diversità di attuazione non può tuttavia costituire un alibi per ritardare o indebolire o vanificare la messa in atto di un cammino che deve essere fin dall’inizio chiaro e unitario. Bisogna cominciare dalla fraternità presbiterale che, nella sua preziosa e ineludibile realizzazione, ci ricorda anzitutto come l’impegno fondamentale è imparare a lavorare insieme. Si tratta di una scelta che richiede conversione personale, ascesi, vera carità. Ciò che davvero conta è la mentalità nuova che occorre assumere. E questo domanda, cari Confratelli, la vostra generosa disponibilità insieme ad una profonda libertà interiore, che mi propongo di raccogliere durante i colloqui personali in programma nel tempo pasquale. Per facilitare la realizzazione di questo progetto – irrinunciabile e ambizioso ad un tempo – i membri dei Consigli Episcopale e Presbiterale, che ringrazio per tale gesto di autentica corresponsabilità ecclesiale, hanno già rimesso nelle mie mani il proprio mandato di parroci.

  1. La parola del Papa

«Nel tempo in cui è tramontata una certa cristianità del passato – ha affermato qualche giorno fa Papa Francesco – si è aperta davanti a noi una nuova stagione ecclesiale, che richiede una riflessione anche sulla figura e sul ministero del prete. Non possiamo più pensarlo come un pastore solitario, chiuso nel recinto parrocchiale o in gruppi ristretti; occorre unire le forze e mettere in comune le idee, i cuori, per affrontare alcune sfide pastorali che sono ormai trasversali a tutte le Chiese diocesane… Ricordiamoci che l’attaccamento alla nostra storia e ai luoghi significativi della nostra tradizione non deve impedire alla novità dello Spirito di tracciare sentieri da percorrere, specialmente quando il cammino della Chiesa lo richiede. Per favore, non lasciatevi paralizzare dalla nostalgia e non restate prigionieri dei provincialismi che fanno tanto male» (cf Ai seminaristi delle diocesi della Calabria – 27 marzo 2023).

  1. La corresponsabilità dei fedeli laici

Al pievano e ai sacerdoti della Pievania verrà affiancata nella responsabilità della cura d’anime una Équipe pastorale nominata dal Vescovo con una apposita “Lettera di missione” e composta da alcuni fedeli laici scelti tra quanti si vogliano dedicare in modo più stabile al servizio della comunità nel suo insieme. Essi dovranno essere opportunamente accompagnati ad acquisire una adeguata formazione spirituale e ministeriale, per poter rispondere con efficacia al compito loro affidato. Mentre il Consiglio Pastorale di Pievania continuerà ad essere «promotore e animatore della vita delle comunità, luogo di sinodalità e corresponsabilità, scuola di ascolto e di discernimento. Con il suo servizio di comunione, aiuta le comunità a passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria e a ricercare quanto favorisce nei credenti la maturazione di una fede capace di accoglienza e testimonianza» (Regola pastorale delle Pievanie, 29 giugno 2019, n. 33, p. 16).

Tutto questo ci conduce alla reale valorizzazione dei fedeli laici, che potranno così vivere con autenticità la caratteristica di popolo sacerdotale, fortemente richiamata dal profeta nell’Antico Testamento: «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti» (Is 61, 6), e celebrata dall’evangelista Giovanni, che esalta Colui che «ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1, 6).

Alla luce di questo nuovo “impianto” pastorale, anche gli Uffici di Curia e altre Istituzioni tradizionali dovranno trovare nuovo orientamento organizzativo e finalità di ministero, al servizio della missione comune.

  1. Nessuna comunità sarà abbandonata

Naturalmente dobbiamo tenere conto della possibile resistenza, da parte della gente e forse anche di qualche presbitero, a convincersi che la diminuzione del numero dei sacerdoti comporta il cambiamento radicale delle strategie pastorali. Ma questa è una subdola tentazione che proviene dal maligno e che deve essere allontanata con volontà forte e decisa. Altrimenti il presbitero finisce con l’assumersi un carico di impegni tale da pagare lo scotto sul versante della salute fisica e della serenità del ministero, della qualità delle celebrazioni, della profondità dell’insegnamento e della testimonianza della carità. È dunque importante sottolineare fin d’ora un principio fondamentale: in forza del mandato di Cristo e della nostra responsabilità come sacri ministri, nessuna comunità sarà lasciata senza una adeguata cura pastorale, nessuna comunità sarà abbandonata. Anche dove non è più possibile esprimere le funzioni tipiche della parrocchia, persisterà per il vescovo e per la diocesi l’obbligo della cura della gente che vi risiede. Non ci proponiamo quindi di ridurre l’attività pastorale, bensì di farne di più, meglio organizzata e condotta, assicurando modalità diverse di presenza e di servizio, non necessariamente identiche a quante messe in atto finora.

  1. Un supplemento di amore e di generosità

A nessuno sfugge la portata dell’operazione che ci attende e che a tutti, presbiteri, diaconi permanenti e fedeli laici, richiede un supplemento di amore ecclesiale e di generosità ministeriale. Ma tutti comprendiamo che proprio questo “salto di qualità” è quanto il Signore oggi ci chiede affinché il Vangelo sia annunziato a tutti e la messe riceva gli operai di cui ha bisogno. Vedo in questo nuovo assetto della diocesi, insieme ad un accresciuto senso di appartenenza alla Chiesa diocesana, uno dei possibili frutti del Giubileo della Cattedrale che stiamo celebrando.

A tutti chiedo infine di sostenere e accompagnare con la preghiera alla Madre di Dio e della Chiesa il cammino che si apre davanti a noi, perché sia percorso “secondo il cuore di Dio”. Mentre abbiamo fiducia che, se il buon Dio ha permesso che entrassimo nelle presenti difficoltà, è per un suo disegno d’amore, per fare cioè meglio risaltare il compito del sacerdozio ministeriale all’interno del popolo cristiano e per promuovere in tutti i fedeli quella collaborazione con l’opera di Cristo che più chiaramente esprime il piano di salvezza. Ci rivolgiamo dunque al Signore crocifisso e risorto affinché conceda a tutti noi di essere parte viva del mistero pasquale che celebriamo, esprimendolo con la nostra unità, la nostra operosità e la nostra apertura ai nuovi orizzonti che lo Spirito Santo ci fa intravedere.

 

 

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