Omelia nella festa del Corpus Domini
Spoleto, Basilica Cattedrale, 11 giugno 2023
Nella festa del Corpus Domini i nostri occhi e la nostra riflessione si fissano sul segno del pane, presenza eucaristica di Gesù Cristo, centro, fonte e culmine della vita della Chiesa e della sua missione.
«Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere» (Dt 8, 2), sussurra la prima Lettura. E noi facciamo memoria riconoscente di quanto abbiamo vissuto, cioè di come il Signore ci ha guidato e difeso lungo il cammino, di come ha preso a cuore la nostra vicenda e ci ha permesso di scoprire che il senso della vita non è nell’onnipotenza delle nostre mani ma nella fiducia riposta in lui, che rimane fedele alla parola data (cf 2 Tm 2, 13).
Ricordati – aggiunge Mosé – come nel deserto il Signore «ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri» (cf Dt 8,16). Il Pane vivo disceso dal cielo ci sostiene, ci fa camminare e ci invita a seguirlo anche per le vie della città. Spesso, mentre porto tra le mani Gesù eucaristia, penso: in realtà è lui che porta me, che mi sorregge, è lui che mi guida. Gesù eucaristico è la forza della nostra vita, la luce del nostro cammino; Egli ci conduce, è con noi, non ci abbandona in luoghi deserti (cf Sal 23), è per noi acqua viva (cf Gv 4, 10). Perché non c’è soltanto una vita da garantire, ci sono le ragioni della vita da ritrovare.
Nella pagina evangelica Gesù ci ha detto: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6, 56). Dunque, nella comunione eucaristica il Figlio di Dio conforma a sé chi si nutre di lui. È facile forse comprendere questo a livello personale. Meno facile è capire che l’Eucaristia, per la potenza dello Spirito Santo, fa anche di molti un solo corpo, il corpo di Cristo che è la Chiesa, che siamo noi qui, questa sera. Prendiamo dunque rinnovata coscienza di questa verità; ogni volta che ci accostiamo alla comunione eucaristica ci sia in noi la consapevolezza di venire associati alla vita di Gesù e alla sua offerta sacrificale per la vita del mondo (cf Gv 6, 51).
Facendoci abitare in Gesù e facendo abitare Gesù in noi, l’Eucaristia ci permette di vivere come lui ha vissuto, cioè come figli del Padre, di compiere le scelte da lui compiute, di amare come lui ci ha amato e ci ama, di servire il prossimo come lui lo ha servito, e anche di morire come lui è morto. E ci impegna ad edificare su questa terra una società dove regnino la giustizia, la concordia, la verità dei rapporti umani, la capacità di amarsi, di perdonarsi, di suscitare solidarietà.
Infatti, una comunità cristiana che si lascia davvero plasmare dall’Eucaristia e muovere dallo Spirito Santo esprime, nella ricchezza e molteplicità dei carismi e delle vocazioni di tutti i suoi membri, la docilità alla Parola, l’obbedienza della fede, la creatività della carità, il desiderio di irradiare speranza, l’attenzione ai segni dei tempi, l’amore vicendevole. Ricordiamo le parole di Papa Francesco durante il pellegrinaggio del 20 maggio scorso: «Comunicare la fede è anzitutto questione di bellezza. Ma la bellezza non si spiega, si mostra, si fa vedere; non si può convincere della bellezza, occorre testimoniarla. Perciò nella Chiesa ciò che si testimonia è più importante di ciò che si predica… La testimonianza della vita comunica la bellezza della fede».
Lo Spirito Santo che è forza unitiva d’amore della comunità è nello stesso tempo forza espansiva d’amore della comunità verso il mondo intero, nei confronti del quale essa si riconosce sempre debitrice dell’annuncio evangelico. In una società ormai chiaramente post-cristiana, non è più tempo di aggiustamenti ma di offrire alle persone una reale esperienza di Cristo. E questo ci impone di pensare e realizzare in modo nuovo la nostra presenza e la nostra azione. Ascoltiamo ancora il Papa: «Rinnovare la pastorale richiede scelte, e le scelte devono partire da ciò che più conta. Non abbiate paura di aggiornare le modalità dell’evangelizzazione … per passare da una pastorale di conservazione, dove ci si aspetta che la gente venga, a una pastorale missionaria, dove ci si allena a dilatare il cuore all’annuncio, uscendo dalle “introversioni pastorali”».
Il Vangelo appena proclamato ci richiama infine la promessa di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, e poi la cena «al piano superiore» (Mc 14, 15), e poi ancora l’Eucaristia delle prime comunità. È bello pensare che quanto noi celebriamo ogni volta nella Messa è ciò di cui ha parlato Gesù duemila anni fa sulle sponde del lago di Tiberiade, ciò che ha celebrato a Gerusalemme nel cenacolo, ciò che, dopo la risurrezione, le primitive comunità hanno celebrato nella Città santa, in Giudea, in Galilea, ad Antiochia e in tutte le regioni intorno al Mediterraneo, continuando a vivere quanto gli apostoli avevano esperimentato nell’ultima cena e dopo la risurrezione di Gesù, quando si ritrovavano insieme nell’una o nell’altra casa a spezzare il pane, colmi di gioia e di speranza, sapendo che Colui che tenevano tra le mani e di cui facevano memoria era in mezzo a loro, era il cibo che li nutriva e infondeva loro forza e coraggio (cf At 2, 44-47).
Mentre il Giubileo della Cattedrale vuole approfondire e confermare in noi l’appartenenza e l’amore alla Chiesa diocesana, di fronte al mistero eucaristico ci chiediamo: lasciamo entrare nella nostra vita la forza dell’Eucaristia? Permettiamo all’Eucaristia che celebriamo di plasmarci come un solo corpo, bandendo da noi «ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni genere di malignità» (Ef 4, 31)? Abbiamo la consapevolezza che il Signore deve essere al principio di ogni nostro agire e di ogni nostro operare? Abbiamo la certezza che Colui che ha dato tutto per noi dà ancora se stesso a noi in questa celebrazione?
Cristo, tu sei la via che conduce al Padre (cf Gv 14, 6)! Tu ci guidi nel quotidiano pellegrinaggio verso la patria celeste. Nel Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue «ci è dato il pegno della gloria futura». Rimani con noi, Signore! Cammina insieme con noi oggi e sempre!