OMELIA NELLA FESTA DI S. BENEDETTO, 21 MARZO 2023

OMELIA NELLA FESTA DI S. BENEDETTO, 21 MARZO 2023

OMELIA NELLA FESTA DI S. BENEDETTO, 21 MARZO 2023

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OMELIA NELLA FESTA DI S. BENEDETTO, 21 MARZO 2023

Omelia dell’Arcivescovo nella festa di S. Benedetto

Norcia, 21 marzo 2023

«Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti… comprenderai l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene» (Pro 2, 1. 9). Le parole del sapiente dell’Antico Testamento – che abbiamo ascoltato nella prima lettura – risuonano nel prologo della Regola che San Benedetto ha redatto per i suoi monaci: «Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno» (Prol. 1).

È quasi una eco di quanto San Paolo diceva ai cristiani di Filippi, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica». È dunque lecito domandarci che cosa possiamo oggi imparare da San Benedetto, noi e l’Europa che lo riconosce come patrono, in un momento dove riemergono crisi, conflitti e divisioni.

Innanzitutto, la Regola afferma che «Quando il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: “Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?”» (Prol. 14-15). Destinatari della domanda sono uomini e donne che cercano la vita in pienezza.  Oggi quanti cercano veramente la vita e per essa sono disposti ad impegnarsi, intraprendendo anche cammini difficili, che richiedono dedizione e perseveranza? L’invito di Benedetto ci spinge a riscoprire quello che abita in profondità il nostro cuore, a non mettere da parte i desideri più autentici che a volte siamo portati a credere irrealizzabili e lontani, soprattutto in momenti difficili come questo, con la guerra che è ritornata a ferire l’Europa.

Guardandoci attorno, spesso constatiamo che quello che rende l’umanità così delusa e a volte così violenta è la consapevolezza di un mondo e di una vita insignificanti. C’è una “crisi di senso”. Una vita consegnata alla noia o al consumismo ha in sé i germi della gelosia, dell’invidia e della rivolta. Ora domandiamoci: cos’è che rende questo mondo insignificante? Non sarà che noi lo costruiamo in funzione di finalità che non sono degne dell’uomo? Ricercando sempre più il denaro e l’agio, ci priviamo della gioia della condivisione; accettando tutti i compromessi purché le nostre ambizioni e la nostra sete di potere vengano soddisfatti, impediamo agli altri di crescere; soddisfacendo gli istinti più bassi, ci ripieghiamo su noi stessi, incapaci di conoscere la gioia del fratello la cui felicità si nutre della felicità dei propri fratelli. San Benedetto ci sprona a ritrovare il vero significato di ogni costruzione umana: esiste una ragione ultima per vivere e questa ragione si chiama Dio che è amore.

E proprio per fedeltà alla persona umana creata da Dio, al suo superiore destino, ai suoi diritti e ai suoi doveri, ci sentiamo di chiedere a coloro che hanno assunto la responsabilità della cosa pubblica di rendersi attenti e sensibili a quanto fa bella e buona la vita di tutti, iniziando col promuovere e difendere l’istituzione familiare costituita dall’unione stabile di un uomo e di una donna, aperti ad assumersi la responsabilità genitoriale e ad assicurare ai bambini l’indispensabile presenza di un papà e di una mamma.

Il secondo spunto che il Santo Patriarca può donare a noi e al nostro continente è il tema dell’ospitalità, rispetto al quale scrive nella Regola: «Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”» (53, 1). Il monaco entra in monastero per seguire Cristo; nell’ospite egli deve riconoscere Cristo stesso, cioè la persona per lui più preziosa. È un annuncio molto importante, mentre si respira nei nostri giorni una sempre maggiore diffidenza, una paura dell’altro, visto come una minaccia per la nostra prosperità e la nostra felicità.

Sappiamo bene che non basta una visione cruenta per decidere di prendersi cura dell’altro: se prima non si è accesa umanità nel cuore, l’occhio non vede. Come gli occhi di chi guarda i morti per naufragio sui barconi e parla di quelle vite come fossero bestiame. Non è possibile non pensare alla radicale insensibilità, all’assenza di umanità mostrati quando, di fronte alla morte in mare di oltre 90 migranti, di cui molti bambini, si ribadisce che la colpa è la loro: «Non dovevano partire»… Quella che Papa Francesco ha da tempo chiamato la “cultura dell’indifferenza” sta producendo veri e propri mostri: persone che di fronte al dolore altrui non solo si voltano dall’altra parte, ma incolpano i sofferenti dei loro stessi mali, senza neppure tentare di comprendere l’immane tragedia che sta dietro e dentro le loro vite. Così avviene con la guerra in Ucraina e in tante altre regioni del mondo, quando pensiamo che la guerra stessa sia la sola risposta possibile all’aggressore. Così avviene di fronte a catastrofi come il terremoto in Turchia e Siria, che se hanno smosso il cuore di alcuni, hanno lasciato molti nell’indifferenza.

Benedetto invece ci ricorda che l’altro non è solamente qualcuno al quale io devo dare, ma è soprattutto colui dal quale io posso ricevere. La vera  ospitalità si fonda sulla consapevolezza di uno scambio reciproco, nel quale io certamente do, ma soprattutto ricevo.

Infine l’ultimo aspetto che potremmo imparare dal patrono d’Europa per i nostri giorni è il senso di comunità. C’è nella Regola una espressione che è importante recuperare: “tutti insieme”. Occorre camminare insieme senza lasciare indietro nessuno; occorre individuare il “passo giusto” perché nessuno vada troppo avanti e qualcuno rimanga indietro. La comunità delineata da Benedetto non è una gara nella quale si vince se qualcuno arriva per primo, ma dove la vittoria c’è se si arriva “tutti insieme” alla meta. Anche questo oggi dobbiamo imparare nella nostra società europea: non si vince se c’è qualcuno che arriva prima, ma solamente se si cammina tutti insieme e insieme si raggiunge la meta, che è una convivenza civile veramente degna dell’uomo.

Tre spunti dunque vogliamo raccogliere dall’odierna celebrazione: cercare la vita, accogliere l’ospite, camminare insieme. Ma: possiamo ancora oggi, in questo mondo così complesso, spesso confuso e secolarizzato, fare riferimento a queste autorevoli indicazioni? Noi crediamo di sì e, alla scuola del nostro Santo, osiamo proporli come valori sui quali fondare il vivere comune e l’edificazione della società. Utopia? Sogno? Qualcuno lo potrebbe credere.

San Benedetto ci dice invece che questa è la via. Quanti altri personaggi storici hanno creduto di aver coniato la “formula vincente”, e la loro memoria si perde nel buio dei secoli… Dopo oltre 1500 anni, invece, Benedetto parla ancora. Riconosciamo dunque la necessità di metterci tutti, comunità ecclesiale e civile, con attenzione e docilità all’ascolto del suo insegnamento, per trarne ispirazione e guida nel compimento del dovere che incombe a ciascuno secondo le sue responsabilità. Ci aiutino e sostengano nell’ardua impresa l’intercessione potente del Santo di Norcia. Per noi e per l’Europa tutta.

 

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