OMELIA NELLA FESTA DI S. PONZIANO, 14 GENNAIO 2023

OMELIA NELLA FESTA DI S. PONZIANO, 14 GENNAIO 2023

OMELIA NELLA FESTA DI S. PONZIANO, 14 GENNAIO 2023

/
/
OMELIA NELLA FESTA DI S. PONZIANO, 14 GENNAIO 2023

Omelia dell’Arcivescovo nella solennità di S. Ponziano
Spoleto, Basilica Cattedrale, 14 gennaio 2023

In un giorno come questo e in un tempio come quello che ci accoglie, il popolo di Dio che è in Spoleto avverte con particolare intensità la gioia e la fierezza di essere in piena comunione con tutta la secolare storia della sua amata città; di possedere la stessa fede dei padri che l’hanno fatta nobile e bella; di essere l’erede primo e più titolato di quell’epoca splendente che, sotto l’ispirazione del messaggio di Cristo, ha arricchito la vita civile di istituzioni mirabili e di capolavori dell’arte e della tecnica, come questa bella Cattedrale che celebra l’825.mo anniversario della dedicazione.

Al tempo stesso, nella festa del patrono che è festa di tutti, i credenti si sentono spinti ad aprire il loro cuore all’intera cittadinanza, ad offrire a tutti i sentimenti della loro simpatia, della loro amicizia, della loro volontà di collaborazione, ad implorare da Dio per tutta la grande famiglia spoletina, al di là delle diverse convinzioni, prosperità, benessere, pace e un sereno avvenire.

Nella cornice di questo incontro, porgo un deferente saluto alle Autorità civili e militari che ci onorano della loro presenza, in particolare alla Signora Presidente della Regione Umbria, al Rappresentante del Sindaco di Spoleto e ai Sindaci dei Comuni della diocesi con i rispettivi Gonfaloni: tutti ringrazio per l’impegno profuso sul nostro territorio in vista del benessere e della prosperità dei suoi abitanti. Un saluto particolare alla delegazione della città di Vieste, che condivide con noi il patrocinio di San Ponziano. E un cordiale pensiero rivolgo ai sacerdoti, ai diaconi, alle persone di vita consacrata e a tutti i fedeli convenuti oggi dalle diverse comunità in questa chiesa-madre del popolo di Dio pellegrino nelle nostre contrade.

«Se qualcuno vuole essere mio discepolo, smetta di conoscere solo se stesso, prenda la sua croce e mi segua», ci ha detto Gesù. Il discepolato cristiano non è seguire un maestro sapiente e autorevole, un profeta capace di compiere miracoli, ma rinunciare a conoscere e affermare se stessi, prendere la propria croce, lo strumento della morte dell’uomo mondano (cf Rm 6, 6; Ef 4, 22; Col 3, 9), e seguire Gesù ovunque egli vada (cf Ap 14, 4). È un’esperienza che coinvolge tutta la persona. E le cambia la vita. Perché il discepolo vive una continua contemplazione di Gesù nella memoria del suo cuore, a tal punto che quasi istintivamente gli viene di ripetere, in vita e in morte, i gesti e le parole del Maestro.

Egli infatti ha compreso che la vita vera è innanzitutto non quella che uno cerca di conservare ad ogni costo, seguendo l’impulso a vivere anche senza e contro gli altri, in una logica di autoconservazione che non riconosce la dinamica del dono e della gratuità. Al contrario, egli sa che è possibile addirittura spendere questa vita fino a perderla, ritrovandola nella potenza della risurrezione che Dio opera su chi si affida a lui. Allora, mediante un giudizio ultimo e definitivo, apparirà la verità dell’esistenza di ciascuno e ognuno riceverà da Dio un giudizio conforme a ciò che avrà vissuto e operato sulla terra.

Anche il nostro San Ponziano è come un “calco” di Gesù: come Gesù, condannato quale sovversivo della religione; come Gesù, trascinato a morire fuori città; come Gesù sulla croce, capace di consegnare il suo spirito e di offrire il perdono ai persecutori. La sua vita e la sua morte ci parlano di coerenza, fedeltà, dedizione, generosità; ci ripropongono una “passione” capace di motivare gesti eroici e pienamente liberi, quelli che spesso sembrano mancare nella nostra società, tendente sempre più alla superficialità e all’indifferenza.

Una indifferenza che appare oggi come prodotto dell’“ateismo del cuore”. L’ateismo del cuore inizia come vergogna della compassione, che ci fa sembrare deboli e irrazionali; si concentra nella cura di sè, accettando l’avvilimento dei propri simili come una fatalità dell’evoluzione che seleziona i vincenti; si armonizza con l’industria del godimento, premiando l’insensibilità per la privazione dell’altro come ragionevole calcolo delle risorse. L’ateismo del cuore non riconosce alcun Dio della giustizia al quale rispondere, né alcun Dio dell’amore al quale corrispondere; ingrassa il nichilismo e divide gli umani; produce effetti di degrado civile che possono assumere forme impressionanti di ignoranza e aggressività (una rapida scorsa ai commenti e ai blog che circolano in rete offre un diluvio di evidenze). Di fronte a questo clima preoccupante, gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati a dare vita ad una autentica “resistenza”, a trovare un punto di alleanza per credenti e non credenti, prima che esso procuri assuefazione per i figli della generazione a venire.

Mentre abbiamo ottenuto risultati straordinari nel “foro esterno” della civiltà – tecnica, economia, scienza -, nel “foro interno” siamo regrediti di secoli. Abbiamo smarrito la dimensione spirituale dell’esistenza. Ma senza spiritualità la depressione diventa pandemia globale, le persone non riescono a cooperare, le imprese a produrre, la democrazia a funzionare. È sempre più urgente ricostituire un nuovo capitale spirituale come “casa” di tutti i capitali di una società: senza di esso tutti gli altri vagano nomadi, esposti ad ogni pericolo. Sono necessarie risorse spirituali per tenere insieme un tessuto sociale lacerato e nutrire una visione di futuro. Riascoltiamo don Lorenzo Milani: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia».

Il “bene comune” richiede un impegno trasversale e condiviso, al di sopra di interessi di parte, in favore della famiglia, dell’educazione, del lavoro e della sanità, prestando ascolto alle legittime aspirazioni degli abitanti, affinché in ogni territorio siano garantiti i servizi essenziali alla persona. Dobbiamo custodire e alimentare una aspirazione al bello e al bene che – forse – aveva contraddistinto altre epoche storiche. Il desiderio – che deve essere tenuto distinto sia dal bisogno che dalla velleità – è ciò che ha caratterizzato lo sviluppo della specie umana e porta fuori, all’aperto, conduce ad intrecciare relazioni, a costruire mondi. La parola del Vangelo di Matteo: «là dove è íl tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (6, 21), significa anche questo: occorre esercitarsi a discernere i tesori che vogliamo conservare e quelli che vogliamo lasciar cadere, perché destino dell’uomo è che il suo cuore desideri, esplori, edifichi. C’è bisogno di attenzione, di approfondimento continuo, di un cercare e saper riconoscere il bene, di farlo durare e dargli spazio. È questo modo di procedere che può permettere di avvedersi di molte buone pratiche, di fecondi scambi, dell’importanza della diversità biologica, culturale, umana, della presenza di menti e cuori disponibili ad un impegno serio, lucido, generoso.

All’intercessione immancabile del nostro antico Patrono che non ci ha mai abbandonati, dopo il tempo difficile della pandemia che sembra aver addomesticato o forse anche spento la capacità di sognare e di impegnarsi, affidiamo il desiderio di ritrovare il gusto di guardare in avanti e la voglia di avere un futuro, mentre chiediamo l’energia necessaria a dar vita ad una società più vivace, più pronta a capire il senso ultimo delle cose, in grado di rispettare e di esaltare i veri valori dell’esistenza: “Alla tua supplice città fedel, propizio chinati, Ponzian, dal Ciel! Amen”.

ultime pubblicazioni

ultime pubblicazioni

Seguici su Facebook