Omelia dell’Arcivescovo nel Giorno di Natale Spoleto
Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2022
Quando in una casa nasce un bambino la vita si rinnova, si dischiude il futuro, i germogli dei desideri si aprono all’amore, tutto respira di gioia e di festa. Così è del Natale: un Bambino è nato per noi, compimento delle attese e dei desideri profondi di Israele e del genere umano; Colui nel quale siamo stati creati, scelti e amati; Colui che ci libera dalla schiavitù e dalla morte.
Il canto di gioia che attraversa la liturgia di questo giorno stride con quella voragine che la pandemia ha scavato nelle nostre anime e nella società e che la guerra in corso in Ucraina e in tante altre parti del mondo continua ad approfondire. La sofferenza, la morte, ma anche la stanchezza, la paura, l’incertezza del futuro e tutto ciò che ci attraversa dentro consegnandoci a una malinconia di fondo, quasi ci fa rigettare gli aspetti più festosi del Natale. Eppure il Signore viene. Questo Dio ostinato nell’amore, che non tiene conto del male ricevuto e si getta dietro le spalle il nostro peccato, che non si arrende al male ma fa sorgere semi di speranza anche nei deserti più aridi, che soffre con noi quando cadiamo negli abissi del dolore, questo Dio viene.
E il venire di Dio nella nostra vita e nella nostra storia è sempre un venire nella notte del cuore e del mondo. È così anche nel Natale: «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1, 5). Però, proprio nella notte può esserci una grazia nascosta, un mistero di benedizione che prende forma nelle domande, in una pausa rigenerante, in una possibilità di cambiamento, nella riscoperta dei valori fondanti dell’esistenza. La notte del dolore o del dubbio può aprirsi alla luce della scoperta se ci arrendiamo al Dio che è capace di squarciare ogni tenebra.
Accogliamo dunque il Signore che viene, senza per questo fuggire dalla notte del mondo, né tantomeno cercando di attutirne il dramma. Assumiamo piuttosto l’atteggiamento di chi, anche in mezzo alla notte, coltiva la speranza che Dio non delude le nostre attese perché, come ci ha ricordato Papa Francesco, «sappiamo bene che la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento. Ma Dio cammina al nostro fianco per sostenerci. Il Signore non ci abbandona; in mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce» (Angelus, 29 novembre 2020). Con questa certezza, possiamo recuperare e abbracciare con maggiore consapevolezza almeno tre aspetti importanti del Natale.
Il primo è imparare che la fragilità è il nostro destino: la possiamo detestare perché ci impedisce di sentirci più forti, oppure accoglierla per sentirci più umani. Non è un bambino appena nato il massimo della fragilità da custodire? Non è questo Dio l’antitesi di tutti i miti di grandezza e potenza, se sceglie di farsi uomo e di nascere in una grotta? Possiamo allora imparare a benedire la nostra fragilità come luogo che si rende ospitale per accogliere Dio e la sua Parola, avendo egli stesso scelto la via dell’abbassamento (cf Fil 2, 6-11), nascendo nella
carne e morendo sulla croce. E quando avremo benedetto la nostra fragilità, saremo anche diventati più umani.
Il secondo aspetto è la riscoperta del valore della sobrietà. Non bisogna fare inutili moralismi: è bello scambiarsi dei doni a Natale. Un’altra cosa è lasciarsi coinvolgere da quanto riesce a produrre nelle nostre anime la frenetica società dei consumi, restringendo la nostra visuale, spingendoci a desiderare il superfluo, consegnandoci alla nervosa agitazione degli acquisti. Così celebriamo una festa, ma ci stiamo dimenticando del festeggiato! Celebriamo la nascita di Gesù, ma senza Gesù! (cf A. Matteo, Incontro al Natale. Un invito a credere di nuovo, Milano 2020, p. 5). Gesù lo troviamo in una cornice essenziale e semplice: una grotta, dei pastori, un villaggio sperduto in cui ha vissuto trent’anni. Un po’ di sobrietà ci può far riscoprire il gusto dell’essenziale, la bellezza delle cose semplici, quelle che nella vita contano davvero.
Il terzo aspetto è la crescita del senso di solidarietà. La semplicità del Natale ci indica che la vita acquista significato e sapore quando ci apriamo all’amore. Da soli non possiamo farcela: adoriamo un Dio che è Dio-con-noi, che stabilisce relazioni, desidera raggiungerci, si apre all’incontro. La semplicità del Natale ci invita a dare vita a relazioni umane buone e gratuite, sviluppando un più evangelico senso della giustizia e dell’attenzione a chi è nella sofferenza e nel bisogno. Dio, che si fa solidale con gli uomini, ci chiede di accoglierlo anzitutto nel volto degli altri.
Fragilità, sobrietà e solidarietà sono i segni evidenti del Natale del Signore. Se li percorressimo con attenzione e intelligenza, potremmo riscoprire il significato vero di ciò che celebriamo e riflettere sul mondo e sulla società che vogliamo edificare. Perciò, se la pandemia e la guerra e la crisi economica ci hanno sorpresi e ci avvolgono di “tenebre fitte”, coltiviamo l’attesa e alimentiamo la speranza: Dio ha vinto il mondo e la sua luce vince le tenebre. Un Bambino è nato per noi: venite, adoriamo!