Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2021

Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2021

Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2021

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Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2021

«Venne ad abitare in mezzo a noi»; ha piantato la sua tenda fra le nostre, ci ha appena detto l’evangelista Giovanni. Questo giorno celebra la memoria della venuta tra noi del Figlio di Dio, l’Emmanuele, il Dio-con-noi e per noi. Dio è uscito dalla sua lontananza e dalla sua invisibilità, ha accorciato le distanze e ha assunto un volto di uomo, facendosi visibile e concreto, alla nostra portata, raggiungibile. «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1, 18).

Questo mistero è ciò che noi chiamiamo “Natale”, il suo messaggio e il suo contenuto. Anche se “Natale” è una parola che qualche lobby europea neanche tanto nascosta vorrebbe cancellare dal vocabolario comune in nome di una “comunicazione inclusiva”. Fondamento di tale modo di vedere è il principio secondo cui l’uguaglianza richiede l’annullamento delle differenze. Con questa autentica aggressione del linguaggio ereditato da secoli di fede e di cultura, si tende a formare individui che non si riconoscano appartenenti a nessuna categoria ma solo a sé stessi. È il trionfo del puro individualismo. Ed è anche l’annegamento del singolo in una massa informe e indistinta, nella quale egli perde alla fine la sua identità, che per definirsi ha bisogno delle relazioni. Ma le relazioni diventano impossibili, o meramente formali, in una società dove al posto delle differenze ci sono persone che sono solo sé stessi e che non hanno in comune né l’essere uomini né l’essere donne, né l’essere cristiani né l’essere islamici, né l’essere credenti né non credenti. Purtroppo queste non sono solo teorie; è la tendenza ad imporre – attraverso le mode, oltre che attraverso il linguaggio – la logica dell’omologazione, che rende tutti uguali annullando le differenze culturali e lasciando in vita individui sradicati e incapaci di relazioni profonde.

Chiunque ragioni libero da ideologie e pregiudizi sa bene che per un mondo dove si realizza la vera uguaglianza non si può puntare sull’annullamento dell’appartenenza dei singoli alle loro rispettive comunità locali, ma piuttosto sull’apertura di ciascuna di esse alle altre e al mondo intero. Insomma, il “rispetto dell’uguale dignità delle persone” non si realizza a spese delle differenze, ma attraverso di esse. Pertanto, noi continuiamo a parlare, con serenità, convinzione e fermezza, del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo.

La storia millenaria dell’umanità ha sempre conosciuto momenti di lotta e di incertezza, di sconfitte cocenti e di fugaci vittorie; la storia dell’uomo poi può sembrare una storia di guerra, di lotta, di morte. Ma ieri questa “realtà di morte” aveva passi lenti, ritmati dai secoli. Oggi anche la morte sembra essersi “aggiornata” ai ritmi frenetici della nostra epoca – ne abbiamo prova eloquente nella tragica stagione di pandemia che sembra non aver fine – e l’uomo pare abbia perduto il senso della propria esistenza e il gusto della vita. A questo uomo che anela ad una certezza capace di dare un significato alla propria esistenza, la Chiesa ripropone Cristo, luce delle genti perché siano vinte le tenebre del cuore; principe della pace che rende possibile la comunione piena con il Padre e con gli uomini riscoperti, nello Spirito, fratelli.

Il Natale è l’evento che oggi riempie il cielo e la terra unendoli in un’esplosione di gioia: il Figlio che da sempre è con il Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero – come reciteremo nel Credo – è diventato uomo come noi per farci diventare figli del Padre come lui. Possiamo dire che il segreto del cuore di Dio, nascosto per secoli e per anni luce, si è svelato nel Verbo fatto carne, nel piccolo Bambino che ci guarda dal presepio: Dio è amore, tenerezza, fedeltà, misericordia infinita, è il Padre di tutti. Dio infinito ci parla per mezzo di un bambino che non sa parlare. Eppure Gesù ci rivela Dio più di qualunque altro profeta; comincia fin dal momento della nascita a dare valore a tutte le parole che pronuncerà poi nel Vangelo, a partire dalle beatitudini: beati voi poveri, beati voi che piangete, beati voi che siete affamati e assetati, beati voi operatori di pace. Dalla sua nascita ha inizio quella rivelazione della figliolanza divina che avrà la pienezza nella sua risurrezione da morte.

Se infatti rileggiamo con attenzione la pagina evangelica appena proclamata, ci accorgiamo che annuncia tutti i grandi eventi nei quali Gesù rivelerà il Padre. Allude ai suoi esempi e alla sua predicazione quando afferma: «la vita era la luce degli uomini… veniva al mondo la luce vera». Ci richiama alle vicende della sua esistenza terrena quando dice: «Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto». Prefigura la sua passione quando esclama: «La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta». Si riferisce alla sua risurrezione quanto proclama: «In lui era vita». E sintetizza tutto il suo cammino tra noi, specialmente il suo mistero pasquale, quando conclude: «Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità».

Ciò che celebriamo oggi non è allora un evento chiuso in sé stesso, bensì l’inizio di un cammino. Ciascuno di noi è venuto in Duomo come per accogliere un invito, l’invito che nasce dalla stalla di Betlemme e che ci spinge a contemplare e a fare nostri i giudizi di valore e gli atteggiamenti di vita che Gesù viene ad inaugurare sulla terra. È il modo di vivere dei figli di Dio, di coloro che con Gesù invocano Dio con il nome di Padre: «A coloro che l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome, i quali da Dio sono stati generati».

Celebrare con frutto il Natale significa perciò lasciarci illuminare dalla luce che viene in questo mondo, senza stancarci o scoraggiarci della strada che dobbiamo ancora percorrere per diventare in pienezza figli di Dio. Celebrare con frutto il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell’uomo, sperimentare la gioia e la pace proprie di chi sa riconoscere in Dio il volto del Padre, di chi sa di poterlo invocare, come e in Gesù, «Abbà» e, per questo, sa riconoscere la grandezza e la dignità di ogni uomo, a qualunque razza, religione e popolo appartenga. Celebrare con frutto il Natale, come evento del nostro cuore, significa irradiare e diffondere l’amore del Padre, testimoniare la sua paternità vivendo la carità verso tutti i fratelli, condividendo le loro situazioni, provvedendo alle necessità materiali dei più bisognosi, mettendoci al servizio della pace e della riconciliazione.

L’augurio che desidero formulare per voi tutti, cari fratelli e sorelle, è quello della gioia dei figli di Dio: di una gioia interiore che dia gusto a tutte le giornate che verranno; una gioia e una speranza che nessuna difficoltà, nessuna preoccupazione potranno toglierci perché affondano le radici nel mistero di colui che è il Dio-con-noi, nel mistero di un Padre che gratuitamente ci ama e ci è vicino sempre.

Affido questo augurio all’intercessione di Maria, Madre di Gesù, mentre chiediamo a lei di unirci a quei sentimenti di fede, di amore, di adorazione con cui ha accolto nel suo seno prima e tra le sue braccia poi il Figlio santo di Dio, che questa notte ha deposto per noi nel presepio.

 

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