Celebrazione in occasione del XXV Congresso Eucaristico Nazionale
Osimo, Concattedrale di S. Leopardo, 9 settembre 2011
Abbiamo appena ascoltato alcune delle frasi più profonde del Vangelo (Gv 6, 48-58), sconvolgenti e grandi per la loro carica di vita e di speranza, per la straordinaria possibilità che rivelano di trasformare letteralmente nel bene la vita degli uomini. Sapere che Dio è amore, che manda il suo Figlio a salvarci, ad illuminarci con la sua parola, a dare la vita e risorgere per noi, non sarebbe ancora sufficiente se non ci fosse stata donata la possibilità di prendere parte in prima persona ed in maniera vitale ai misteri di Gesù.
Sappiamo che l’impressione di quelle parole sugli ascoltatori, così poco preparati e così poco ben disposti, fu pressapoco disastrosa: «Molti si allontanarono da lui». Che razza di discorso era questo? Come si poteva credere, anzi, solo accettare una proposta di questo genere?
Invece il Signore stava proponendo loro la comunione personale più autentica e più vera. Mangiare e bere: segno non soltanto dell’intimità, ma addirittura dell’assimilazione. Si mangia e si beve, e il cibo e la bevanda diventano veramente parte di noi, del nostro essere fisico e della nostra forza.
Così Gesù intendeva dire che la comunione con la sua vita nella grazia è qualche cosa di simile: un’immedesimazione profonda. Perché, in realtà, non siamo noi che assimiliamo quel pane, è quel pane – Gesù – che ci assimila a sé e ci insegna a pensare, a vivere, a ragionare, a volere come lui, a condividere con lui la paternità di Dio, la forza dello Spirito, la gioia del Regno, il senso della vita. L’effetto dell’Eucarestia è di farci diventare ciò che mangiamo, diceva san Leone Magno.
Insieme a questa profonda partecipazione, Gesù insegnò chiaramente la trasformazione reale che a poco a poco avviene in coloro che si nutrono con fede ed amore del pane che egli vuole essere per noi.
Ben a ragione questo Mistero ha sempre entusiasmato i credenti i quali, nell’Eucarestia, hanno visto e continuano a vedere la prova di un amore invincibile da parte di Cristo, una volontà ferma di vivere con noi, di darci la vita, di renderci vivi come egli vive, con generosità senza pari e che non si stanca mai, un vero e proprio passaggio di vita da lui a noi: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui».
Cristo opera con noi, vive, lavora, soffre, cammina, esiste con noi, non ci lascia mai, a meno che noi stessi non ci allontaniamo da lui, e la sua vita è veramente vita di Dio in noi.
«Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me». Notiamo allora che questa pagina non è stata scritta per la Chiesa, ma per il mondo. Affidata alla Chiesa sì, perché la predichi, la proclami, la gridi con l’entusiasmo della sua fede, la proponga agli uomini con la forza del suo amore, la indichi a tutti con la fermezza della sua speranza. Affidata alla Chiesa, dunque, ma per il mondo intero.
L’Eucarestia, infatti, rende presente nella nostra storia l’atto stesso del dono, il movimento primo di Dio, quella generosità essenziale che fa che Dio sia condivisione, comunione e amore.
Il Padre è Padre nell’atto di donarsi totalmente al Figlio, e il Figlio è Figlio nell’esistenza pienamente “restituita” al Padre. L’azione dell’Eucarestia consiste quindi nel farci passare da una vita centrata su di noi ad una vita nello Spirito, impregnata dello Spirito trinitario, che ci rende “donabili”, per così dire, come Cristo si è donato.
La logica di Dio è una logica di comunione, e l’Eucarestia non è comprensibile se non nella logica della comunione reciproca, cioè nella logica secondo cui ci si dona totalmente a colui che si dona totalmente. È il contrario stesso della sicurezza, del possesso e dell’accaparramento, il contrario degli interessi e dell’egoismo.
Riceviamo per donare. Comunichiamo, cioè ci accettiamo in reciprocità, come fratelli e sorelle. Noi celebriamo la presenza di Cristo, ma Cristo presente ci dona gli uni agli altri, nell’atto stesso nel quale egli si dona a noi. E così diventiamo i servitori del corpo di Cristo che è la Chiesa, edificata dall’Eucarestia.
I credenti diventano dunque i servitori della presenza, i servitori del nutrimento e della vita. Ricevono dal Cristo per donare agli altri. La vera domanda allora è: uscendo da Messa, che cosa diamo agli altri? Di chi saremo i servitori, quale nutrimento distribuiremo ai nostri fratelli che hanno fame? Perché il mondo ha sempre bisogno di vita autentica, di condivisione, di fraternità, di dignità.
L’Eucarestia non tende semplicemente a produrre delle anime belle, ma vuole creare un mondo eucaristico. La Messa ci obbliga a vivere “eucaristicamente”, a celebrare cioè il mondo che verrà, la speranza immensa di Dio su un mondo rinnovato in cui già, come scrive san Paolo, poco a poco il Cristo ricapitola la creazione intera per farne un mondo filiale, cioè fraterno (cf Ef 1, 10).
Il pane che mangiamo ci introduce nel disegno di Dio sulla creazione, e ci chiede di servire questo progetto con la verità e la generosità dei gesti della nostra vita quotidiana. È questo decentramento da sé, questa rivoluzione nelle nostre vite che l’Eucarestia ci obbliga a compiere, perché il Vangelo nutra ogni uomo, perché la parola creatrice, la parola eucaristica – «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue» – edifichi una umanità nuova. L’impegno nel sociale consegue da questa comprensione dell’Eucarestia: la vita spirituale più giusta, è allo stesso tempo la più incarnata, la più impegnata e la più donata. Non però nel senso di un umanitarismo pur profondo, del quale anche uno dei registi più apprezzati del nostro tempo sembra volersi fare paladino nel suo ultimo film; bensì nell’accoglienza operosa del comandamento che il Maestro ci ha lasciato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34), sapendo scorgere dietro il volto di ogni sofferenza il Volto piagato e glorioso del nostro Salvatore (cf Mt 25, 40).
In tutta la nostra esistenza, allora, si deve iscrivere una frase che, da san Giovanni Crisostomo nel IV secolo, è passata anche in una orazione domenicale: «L’Eucarestia non sarà mai compiuta finché noi stessi non saremo divenuti eucarestia».
Ci aiuti il Signore ad “interpretare” così il nostro essere discepoli oggi nella città degli uomini e sostenga con la forza del suo Spirito il nostro impegno e la nostra speranza.