Prolusione dell’Arcivescovo

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Prolusione dell’Arcivescovo

 

Il tesoro della nostra Chiesa.

 

Riascoltiamo il brano evangelico della domenica del Corpus Domini:
«Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”.

Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare”. Gli risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qua”. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt 14, 13-21).

Sottolineo due espressioni che mi sembrano definire bene l’atteggiamento che ci è richiesto mentre volgiamo con amore lo sguardo alla nostra Chiesa diocesana, che siamo chiamati a servire:
–    “Sentì compassione per loro”
–    “Date loro voi stessi da mangiare”.

La con-passione è innanzitutto un atteggiamento del cuore, un amore rispettoso, delicato, concreto, attento, festoso, aperto alla reciprocità, non avido, non pretenzioso, non possessivo, ma forte della sua debolezza, efficace e vittorioso, disarmato e disarmante. Il contrario della con-passione è la durezza di cuore, di mente, di spirito; è la durezza culturale, ideologica, la rigidità in tutte le sue forme. È uno dei più grandi ed insidiosi nemici di Cristo e del cristianesimo, tanto spesso stigmatizzato dal Vangelo come calcificazione, pietrificazione, callosità del cuore, indurimento della mente.

Il dono è qualcosa di attivo, che si fa e che non si pensa, qualcosa che si mette in essere. Sulla croce Gesù  esprime il dono nel momento culminante della sua vita: non ha più niente da dare e tuttavia vede il discepolo a cui vuole bene e gli dà sua madre; e alla madre che rimane sola dà il discepolo. Donare significa comunicare ciò che veramente possediamo, poco o molto che sia, senza domandarci se è poco o molto. Ci deve bastare poter dare ciò che abbiamo.

Ci guida la parola del Papa: «Ogni Pastore è il tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini: è mediante il nostro ministero – cari sacerdoti – è attraverso di noi che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida. Sant’Agostino, nel suo Commento al Vangelo di san Giovanni, dice: “Sia dunque impegno d’amore pascere il gregge del Signore” (123,5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cf S. Agostino, Discorso 340, 1; Discorso 46, 15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cf Id., Lettera 95, 1). Se tale compito pastorale è fondato sul Sacramento, tuttavia la sua efficacia non è indipendente dall’esistenza personale del presbitero. Per essere Pastore secondo il cuore di Dio (cf Ger 3,15) occorre un profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo dell’intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una chiara coscienza dell’identità ricevuta nell’Ordinazione Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile. Ciò richiede, anzitutto, la continua e progressiva disponibilità a lasciare che Cristo stesso governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri. Infatti, nessuno è realmente capace di pascere il gregge di Cristo, se non vive una profonda e reale obbedienza a Cristo e alla Chiesa, e la stessa docilità del popolo ai suoi sacerdoti dipende dalla docilità dei sacerdoti verso Cristo; per questo alla base del ministero pastorale c’è sempre l’incontro personale e costante con il Signore, la conoscenza profonda di Lui, il conformare la propria volontà alla volontà di Cristo» (Udienza Generale, 26 maggio 2010).

 

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«La Chiesa vive per evangelizzare» (EN 19); cioè per annunciare l’evento di Gesù Cristo e testimoniarlo nelle forme concrete del servizio agli uomini: è il “Vangelo della carità”. 

  • vangelo: parola che annuncia, racconta, spiega ed insegna. All’uomo non basta essere amato né amare; ha bisogno di sapere e di capire, ha bisogno di verità. 
  • carità: centro del Vangelo è l’amore di Dio per l’uomo; la nuova evangelizzazione deve passare in modo privilegiato attraverso la via della carità, del dono e del servizio.

Questa missione qualifica la presenza della Chiesa nella comunità degli uomini: evangelizzare non è soltanto la sua grazia, ma il suo “debito”; donare il Vangelo è il primo atto di carità verso l’uomo.

«L’uomo è amato da Dio. È questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e debbono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è via, verità e vita» (CfL 34). Non basta mostrare al mondo il nostro amore, pure evangelico. Troppo inadeguato. Dobbiamo sempre raccontare la storia di Gesù Cristo, sempre chiamare la gente ad andare a lui, ad accogliere lui pane della verità e dell’amore di Dio (cf Gv 17,3).

 

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Dall’inizio del mio ministero a Spoleto, ho avuto modo di farmi più volte “pellegrino” sulle strade della diocesi e di incontrare tanta gente: la nostra terra è piena di santità e di forza interiore. La stampa si accanisce talvolta su episodi particolari, ma dappertutto c’è tanta gente leale, buona, devota, che opera senza rumore. È una ricchezza che non possiamo dimenticare o sottovalutare.

Ed ho incontrato i “miei preti” (mi fa sempre impressione parlare dei “miei” preti, così come sono ogni volta sorpreso e trepidante quando, concelebrando con voi, vi sento pregare “per il nostro vescovo Renato”): voglio rendere testimonianza alle opere buone, alla pazienza nella tribolazione, alla perseveranza in mezzo alle prove, alla carità, la fede e la costanza. Come ho scritto a quelli di voi che lasciano un ministero diretto per raggiunti – e anche oltrepassati – limiti di età: «In questo momento desidero dirLe il ringraziamento dell’Archidiocesi tutta e mio personale per la lunga e generosa attività svolta in questi anni di ministero pastorale. Posso immaginare i Suoi sentimenti: tanti ricordi, tante esperienze umane e spirituali, tanti sacrifici e rinunce, tanto bene seminato gratuitamente nel silenzio e nella donazione senza calcolo, tante vite accolte, accompagnate, sostenute e consolate, tante lacrime versate in solitudine che hanno reso misteriosamente fecondo il ministero pastorale. Solo il buon Dio conosce i dettagli di tutta una vita spesa al servizio del Vangelo e dei fratelli; solo Lui può ricompensare degnamente il suo servo fedele. Un prete però non va “in pensione”: oso sperare dunque – e La prego di farlo – che Ella vorrà continuare ad accompagnare con la preghiera ed il Suo prezioso ministero, ricco della sapienza e dell’esperienza accumulate e secondo le Sue possibilità, il cammino del popolo di Dio in terra spoletana-nursina».

Sono tanto grato a Dio che mi ha “donato” questa Chiesa di Spoleto-Norcia, alla quale sono stato inviato come Vescovo con il compito – per dirla con san Pietro – di pascere il gregge di Dio che mi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a me affidate, ma facendomi modello del gregge (cf 1 Pt 5, 2-3). Grave  responsabilità e formidabile peso! In questa ottica e con questa prospettiva sto tentando di declinare il mio ministero in mezzo a voi, ben cosciente della mia povertà ed inadeguatezza ma anche sicuro dell’assistenza divina e della vostra benevolenza. Nell’ascolto e nella ricerca comune, sono state esaminate situazioni e circostanze, valutate proposte, ipotizzate risposte, con un unico intento: ricercare e promuovere il bene di tutti, dei preti, dei fedeli, della diocesi. Di fronte alle esigenze rilevate, si è trattato di operare una scelta difficile e coraggiosa: lasciare tutto così come sta e dedicarsi alla cosiddetta “pastorale di conservazione e contenimento”, o mettere in atto alcuni cambiamenti che, a cascata, ne avrebbero necessariamente provocati altri. Dopo aver pregato e chiesto il parere di persone sagge e prudenti, ho scelto la seconda strada, certamente più ardua e rischiosa. Non posso infatti dimenticare che “pascere” non significa necessariamente “accondiscendere” e che è necessario custodire la propria libertà interiore con la sola preoccupazione di piacere «a Dio, che prova i nostri cuori» (1 Tess 2,4; cf Gal 1,10).

Si è giunti così ad un insieme di provvedimenti e trasformazioni che ora annuncerò e che richiedono la partecipazione ed il coinvolgimento intelligente di tutti, giacché l’annuncio evangelico non può essere un’impresa pastorale portata avanti “in proprio” solo da alcuni, per quanto geniali. Il Nuovo Testamento non prevede profeti isolati e pionieri avventurosi: anche la profezia e le figure di santità hanno sempre sentito una attrazione “cattolica”. Non penso certo ad una forma di “concertazione pastorale”: non si può fare solo ciò su cui si è previamente d’accordo. Ma anche le guide pastorali non possono fare a meno di vedere crescere un terreno comune di convergenza, perché il lavoro non sia vano. Affido dunque a voi, alla vostra coscienza presbiterale e al vostro senso ecclesiale queste iniziative, nella speranza che portino davvero il frutto che tutti auspichiamo per la nostra Chiesa e la nostra gente. E vi chiedo di accoglierle con spirito libero e disponibile, senza cercare di indovinare ragioni nascoste che non esistono o andar dietro ad interpretazioni frutto di qualche fantasia feconda (e malata).

Desidero qui rendere omaggio a tutti coloro che, da me sollecitati ad assumere un nuovo ministero e quindi a lasciare in un qualche modo “la propria terra”, hanno accolto con generosità e disponibilità la proposta, dicendomi in più di un caso: «Mi son fatto prete per servire la Chiesa: vado dove Lei mi dice». Questo atteggiamento, che mi ha ammirato e commosso, costituisce un vero patrimonio per la nostra Chiesa e dice la “qualità” del nostro Presbiterio diocesano. Risento le parole del Papa ai preti del Portogallo: «Liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; liberi per tutti, perché staccati da tutto; liberi da noi stessi affinché in ognuno cresca Cristo, il vero consacrato del Padre e il Pastore al quale i sacerdoti prestano la voce e i gesti, essendo sua presenza; liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia» (Celebrazione dei Vespri, Fatima, 12 maggio 2010).

Ero cosciente del numero, per fortuna ancora grande seppur ridotto, di preti nella nostra diocesi; e già sapevo di non navigare nell’abbondanza. Tuttavia, l’affrontare in queste settimane la “geografia presbiterale” mi ha rivelato come la scarsità di Clero sia anche per noi un problema gravissimo, che diverrà ancora più grave in un futuro non lontano. Molti sacerdoti sono, infatti, chiamati fin d’ora a farsi carico di più parrocchie nello stesso tempo, a discapito dell’azione pastorale, della propria salute fisica e spirituale, del bene dei fedeli: la preghiera insistente e le iniziative pastorali per le vocazioni diventano quindi un’emergenza irrinunciabile.

Sono sempre sorpreso della risposta corale della gente al Rosario del primo sabato del mese alla Madonna della Stella. Anche i preti sono presenti in buon numero: invito tutti a fare anche qualche sacrificio, se necessario, per non mancare a questo appuntamento che ritengo particolarmente importante, anche per dare il segno di unità nella preghiera supplice e fiduciosa. Mi piace qui richiamare alla vostra responsabilità quanto scrivevo nel dicembre scorso: «Auspico … che nelle diverse comunità locali fioriscano iniziative di preghiera e di penitenza per impetrare dal Signore il dono prezioso di nuove vocazioni per la nostra Chiesa locale: affido alla sensibilità dei Parroci e dei Consigli Pastorali parrocchiali le modalità concrete per la loro realizzazione. Dispongo inoltre che … in tutte le celebrazioni eucaristiche domenicali e festive una intenzione della preghiera universale sia esplicitamente dedicata alla richiesta umile e fiduciosa di nuove vocazioni per la nostra Chiesa». Amerei conoscere poi le iniziative che sono state realizzate a questo livello nelle diverse parrocchie. E vi prego di non avere timore di parlare chiaramente ai vostri giovani della bellezza del sacerdozio e di lanciare loro l’invito esplicito a seguire il Signore con cuore indiviso nel servizio della Chiesa.

Forte delle parole del Papa, che nella Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis scrive: «I Vescovi coinvolgano nelle necessità pastorali gli Istituti di Vita Consacrata e le nuove realtà ecclesiali, nel rispetto del carisma loro propio, e sollecitino tutti i membri del clero a servire la Chiesa là dove ve ne sia bisogno, anche a costo di sacrificio» (n. 25), e fidando nel loro sensus Ecclesiæ, avevo chiesto – come sapete – ai Padri Passionisti di assumere quella che sarebbe potuta diventare la Parrocchia-Santuario della Madonna della Stella, facendosi carico anche formalmente di quella porzione del popolo di Dio che già servono con dedizione,  ed avevo offerto ai Frati Minori Conventuali la parrocchia di San Sabino, legata a significative memorie francescane, da dove avrebbero potuto continuare ad arricchire la vita di questa Chiesa locale con il loro particolare carisma.

Ho ricevuto da entrambi i Capitoli Provinciali una risposta negativa: il Superiore Provinciale dei Passionisti, lamentando anche presso di loro la carenza di sacerdoti e di vocazioni, mi ha scritto che «i nostri giovani … se avessero desiderato fare i parroci sarebbero entrati nel clero diocesano e non si sarebbero fatti Passionisti. Essi preferiscono essere presenti e servire la Chiesa con il proprio carisma che si esprime in ministeri specifici». Prendo atto con rammarico, ma non rinuncio alla possibilità di erigere in parrocchia il Santuario, che è proprietà della diocesi, se un giorno ci saranno le condizioni necessarie.

Padre Franco Buonamano, Ministro Provinciale dei Conventuali, mi ha invece comunicato che il loro Capitolo Provinciale ha votato di non accettare San Sabino e piuttosto di ritirare i Frati da Spoleto. Ritengo che non avrebbe avuto molto senso un Convento a pochi passi dalla Cattedrale, soprattutto nell’ottica della ristrutturazione pastorale della “città vecchia”, così come mi sembra che San Sabino non sarebbe stato un esilio… Non mancherò di informare chiaramente l’opinione pubblica, affinché non si pensi che la diocesi si sia voluta disfare dei Frati o, peggio ancora, non ne apprezzasse l’opera e la presenza secolare.

Constato comunque con dispiacere che le visioni ecclesiali e pastorali dei diocesani e dei religiosi non coincidono necessariamente… Fornisco a voi queste informazioni perché desidero sappiate esattamente come stanno le cose, ed esorto tutti ad evitare qualsiasi polemica o
risentimento e ad aiutare la gente a collocare anche questi episodi tristi nella giusta ottica ecclesiale: la presenza dei Religiosi nella nostra Archidiocesi è comunque una ricchezza che vogliamo tutti accogliere e valorizzare.

Aggiungo una considerazione: con l’attuale carenza di sacerdoti, non è stato facile decidere di dedicare a tempo pieno un prete per la pastorale giovanile, sollevandolo dal ministero parrocchiale diretto. Tuttavia mi ha convinto a questo passo la necessità di un investimento serio a favore delle giovani generazioni, se vogliamo che il messaggio evangelico continui a portare frutto nei cuori e nella società. Don Davide sarà dunque a servizio della pastorale giovanile diocesana per animare, seguire, incoraggiare, coordinare le diverse iniziative ed attività. Non esitate a contattarlo per concordare con lui le modalità della sua presenza presso di voi. Ciò non significa, naturalmente, che tutta l’attività con i giovani debba essere “scaricata” sulle sue spalle; occorre piuttosto che ogni parroco si faccia carico in prima persona di un rapporto amichevole ed educativo con i giovani della sua parrocchia. Posso immaginare che – come qualcuno mi ha fatto notare – si tratti di un ministero faticoso, con risultati non sempre assicurati (ma quale ministero li garantisce?). Non sia un alibi l’età avanzata o qualche difficoltà incontrata. Chiedo dunque a tutti di impegnarsi seriamente in questa avventura, senza lesinare sforzi e fantasia.

Tutte le nomine, comunicate ufficialmente oggi, diverranno effettive il 15 agosto p.v., nella solennità dell’Assunzione della Beata Vergine al cielo. Mentre depongo fin d’ora nel suo cuore materno i nuovi ministeri ed il cammino della nostra Chiesa incontro al suo Signore, conto sulla vostra sensibilità  ecclesiale e pastorale: so che questi provvedimenti non possono soddisfare tutti e che qualcuno avrebbe agito diversamente, certo con l’intento di fare bene. Vi chiedo di accoglierli con spirito di fede, compatendo in me mancanze ed errori e credendo alla mia unica preoccupazione e ferma intenzione di provvedere al bene della nostra Chiesa; vi chiedo poi di illuminare e guidare i vostri fedeli ad una giusta e pacifica comprensione di quanto avviene in questo particolare momento: la vostra serenità ed equilibrio di fronte ad interpretazioni, commenti e reazioni – che certamente non mancheranno – saranno il miglior antidoto ad ogni strascico, comunque inutile e dannoso .

 

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Concludendo il mio dire, vorrei ancora dirvi grazie facendo mie le parole che i Vescovi d’Italia, al termine della loro recente Assemblea Generale, hanno indirizzato ai sacerdoti: «La gloria di Dio risplende nella vostra vita consumata nella fedeltà al Signore e all’uomo, perché siete pazienti nelle tribolazioni, perseveranti nella prova, animati da carità, fede e speranza. Noi siamo fieri di voi! Il bene che offrite alle nostre comunità nell’esercizio ordinario del ministero è incalcolabile e, insieme ai fedeli, noi ve ne siamo grati. La vostra consolazione non dipenda dai risultati pastorali, ma attinga alla presenza amica dello Spirito Paraclito e alla partecipazione al calice del Signore, dal cui amore siamo stati conquistati… Quando il Signore ha inviato i discepoli in missione ha detto loro: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Non ci ha promesso una vita facile, ma una presenza che non verrà mai meno. Senza di lui siamo nulla e non possiamo fare niente; dimorando in lui i nostri frutti saranno abbondanti e duraturi. La sua compagnia non ci mette al sicuro dagli attacchi del maligno né ci rende impeccabili, ma ci assicura che il male non avrà mai l’ultima parola, perché chi si fa carico del proprio peccato può sempre rialzarsi e riprendere il cammino» (28 maggio 2010).

Sappiamo bene che da soli non possiamo realizzare quanto c’è da fare per la Chiesa e per il mondo: solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto e poi attuarlo. Preghiamo che il Signore realizzi su di noi l’effusione del suo Spirito e continui a ricreare la sua Chiesa e il mondo. Dopo l’Ascensione gli Apostoli non hanno iniziato – come forse sarebbe stato normale – a organizzare, a creare la Chiesa futura; hanno aspettato l’azione di Dio, hanno atteso lo Spirito Santo. Hanno compreso che la Chiesa non si può fare, che non è il prodotto della nostra organizzazione: la Chiesa deve nascere dallo Spirito Santo.

Allora, preghiamo:

Siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo:
sentiamo il peso delle nostre debolezze,
ma siamo tutti riuniti nel tuo nome;
vieni a noi,
assistici,
scendi nei nostri cuori:
insegnaci tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci tu il cammino che dobbiamo seguire,
compi tu stesso quanto da noi richiedi.
Sii tu solo a suggerire e guidare le nostre decisioni,
perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo,
hai un nome santo e glorioso:
non permettere che sia lesa da noi la giustizia,
tu che ami l’ordine e la pace;
non ci faccia sviare l’ignoranza,
non ci renda parziali l’umana simpatia,
non ci influenzino cariche o persone;
tienici stretti a te con i
l dono della tua grazia,
perché siamo una cosa sola con te
e in nulla ci discostiamo dalla verità;

fa’ che riuniti nel tuo santo nome
sappiamo contemperare bontà e fermezza insieme,
così da far tutto in armonia con te,
nell’attesa che per il fedele compimento del dovere
ci siano dati in futuro i premi eterni.
Amen.

 

 


 

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