Sabato 28 maggio 2016 a Roccaporena di Cascia è stato celebrato il Giubileo delle persone vedove, promosso dall’Ufficio per la pastorale familiare dell’Archidiocesi e dal Santuario di Roccaporena. Alla scuola di Rita, che ha sperimentato la vedovanza, diverse persone provenienti dall’Umbria, dalla Liguria, dalle Marche e dalla Puglia hanno attinto dal Signore Risorto la luce e la forza per continuare il cammino della vita in comunione con le persone care tornate alla Casa del Padre. «Siamo lieti di accogliervi – ha detto nel saluto iniziale l’arcivescovo Renato Boccardo – nella casa di Rita, Santa che ha vissuto la stessa particolare vostra esperienza». Per colloquiare con i presenti è stato chiamato padre Arnaldo Pangrazzi dell’Ordine dei Ministri degli Infermi (Camilliani), docente di Teologia Pastorale Sanitaria ed esperto nell’elaborazione delle perdite e del lutto, che ha definito Roccaporena «una piccola Nazaret da dove si è sparsa nel mondo una piccola semente di pace e perdono».
All’inizio dell’intervento padre Pangrazzi ha chiarito tre aspetti del cordoglio: «quando muore il coniuge perdiamo il nostro presente, quando muore un genitore perdiamo il nostro passato, quando muore un figlio perdiamo il nostro futuro. Rita ha perso presente, passato e futuro. Alla scuola di questa grande Santa siamo chiamati a trasformare il dolore in missione, ad adoperarci per cicatrizzare la ferita della morte. Dianzi alla morte di un congiunto – ha proseguito – dovremmo aprirci ad una famiglia più grande (parrocchia, associazioni di volontariato ecc…) altrimenti il dolore si trasformerà nella nostra tomba e saremo persone che sopravvivono ma non vivono. La fede, infatti, non ci protegge dal dolore ma ci aiuta ad affrontarlo alla scuola di un giovane di appena 33 anni – Gesù – che nella vita aveva fatto solo del bene, eppure fu inchiodato a una croce». Padre Pangrazzi ha poi elencato alcuni “compiti” per superare il lutto. «Certo – ha detto – non si cancella il dolore, ma possiamo impegnarci per far vivere la persona a noi cara nel nostro cuore». Dunque: «accettare la morte e non imbalsamare il dolore (per esempio, non riempire la casa con le foto della persona deceduta e donare gli indumenti a chi è in difficoltà); adattarsi ad una vita cambiata e quindi ripensarla (più attenzione ai figli e ai nipoti, impegno in parrocchia, volontariato in ospedale ecc…). Insomma, nel dolore siamo chiamati ad aprire il cuore agli altri, far sì che sia la speranza a guidare i nostri passi, così come fece Rita quando perse il marito prima e i figli poi».
Nel pomeriggio c’è stata la visita ai luoghi ritiani, poi l’annuncio del Giubileo, il passaggio dalla Porta Santa della Misericordia e la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo con il dono dell’indulgenza. Nell’omelia mons. Boccardo ha detto che «non è sempre facile vedere la presenza di Dio quando perdiamo una persona cara. Ci chiediamo: dov’è Dio? E ci sentiamo piccoli e sproporzionati. La fede, però, ci dice che Dio non si diverte a farci star male, ci invita a non fermarci all’apparenza e a cogliere il senso di quello che ci accade, consapevoli che la morte prima o poi arriva e non possiamo fermarla. La nostra cara Santa Rita in questo ci è maestra: se non si fosse affidata a Dio e non avesse ascoltato la sua parola come avrebbe addolcito il carattere del marito, come avrebbe perdonato gli uccisori di quest’ultimo e come avrebbe superato la morte dei figli?». Al termine della Messa mons. Boccardo ha consegnato a ciascuno dei presenti una rosa, simbolo della spiritualità ritiana.
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