Anche l’archidiocesi di Spoleto-Norcia si è unita alla preghiera di Papa Francesco per la pace. Il Pontefice, infatti, per la giornata di venerdì 27 ottobre 2023 ha indetto una Giornata di digiuno, di preghiera e di penitenza per implorare la pace nel mondo. Il Santo Padre ha presieduto nella Basilica di S. Pietro il Santo Rosario e l’Adorazione Eucaristica. A Spoleto l’arcivescovo Renato Boccardo ha celebrato la Messa nella parrocchia del Sacro Cuore.
La preghiera per la pace nasce dal pentimento. «Ciò che origina e motiva il nostro convenire questa sera – ha detto il Presule nell’omelia – è l’urgente necessità di vegliare, digiunare, intercedere, facendo nostre le grida di tutti gli uomini e le donne, di tutti i bambini, di tutti i vecchi coinvolti nel conflitto in Terra Santa, in Ucraina e nei numerosi altri focolai di guerra disseminati nel mondo. Ogni seria preghiera per la pace deve nascere dal pentimento e dalla volontà di ricostituire anzitutto nella nostra vita personale e comunitaria “i quattro pilastri” della pace indicati da S. Giovanni XXIII: verità, giustizia, libertà, carità. Senza tale volontà umile e sincera, la nostra preghiera e la nostra invocazione sono ipocrite. Perché “dona nobis pacem” significa anzitutto: “Purifica, Signore, il mio cuore da ogni fremito di ostilità, di partigianeria, di partito preso, di connivenza; purificami da ogni antipatia, pregiudizio, egoismo di gruppo o di classe o di razza”. Questi sentimenti negativi sono incompatibili con la pace».
Intercedere per la pace. «Intercedere – ha detto mons. Boccardo – non significa semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, mettersi là dove il conflitto ha luogo, tra le due parti in lotta. È il gesto di Gesù Cristo sulla croce. Come ha affermato San Paolo scrivendo ai cristiani di Efeso, Gesù è venuto per porsi nel mezzo di una situazione insanabile, di una inimicizia ormai giunta a putrefazione, nel mezzo di un conflitto senza soluzione umana. E si è potuto mettere nel mezzo perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui: l’uomo e Dio (cf Ef 2, 14-18). Questa è l’intercessione cristiana. Per essa è necessaria una duplice solidarietà: devo potere e volere abbracciare con amore e senza sottintesi tutte le parti in causa. Devo resistere in questa situazione anche se non capìto o respinto dall’una o dall’altra, anche se pago di persona. Devo avere fiducia soltanto nella potenza di Dio, devo fare onore alla fede in Colui che risuscita i morti. È una fede difficile, per questo l’intercessione vera è difficile. Ma se non vi tendiamo, la nostra preghiera sarà fatta con le labbra, non con la vita. Naturalmente un simile atteggiamento non calpesta affatto le esigenze della giustizia. Non posso mai mettere sullo stesso piano assassini e vittime, trasgressori e difensori della legge. Però, quando guardo le persone, nessuna mi è indifferente, per nessuno provo odio o azzardo un giudizio interiore, e neppure scelgo di stare dalla parte di chi soffre per maledire chi fa soffrire. Gesù non maledice chi lo crocifigge, ma muore anche per lui dicendo: «Padre, non sanno quello che fanno, perdona loro» (cf Lc 23, 34)».
«La vera intercessione suscita un unico desiderio: quello – ha concluso l’Arcivescovo – di essere con il pensiero e con il cuore nei luoghi del conflitto, sulle strade di Gaza e di Jenin, di Gerusalemme e di Tel Aviv, nei kibbuz israeliani e nei villaggi palestinesi, dove cittadini inermi sono minacciati e uccisi. Stare là, senza alcuna azione politica o alcun clamore, fidando solo nella forza della intercessione. Stare là, come Maria ai piedi della croce (cf Gv 19, 25-27), senza maledire nessuno e senza giudicare nessuno, senza gridare alla ingiustizia o inveire contro qualcuno».