LA CHIESA LOCALE, LE PARROCCHIE E IL MINISTERO DELLA CARITAS
Insegnamento agli Operatori della Caritas diocesana
Montefalco, Santuario Madonna della Stella, 3 dicembre 2011
La carità è l’essenza della vita cristiana
Nell’Enciclica “Deus caritas est”, Papa Benedetto XVI afferma che la peculiarità dell’esistenza del cristiano consiste nell’aver creduto all’amore di Dio. Dunque, l’essere cristiano non si fonda su una scelta etica, moralistica o dottrinale, ma esperienziale, vale a dire vivendo un avvenimento e incontrando la Persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv. 3,16): noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto. Questo amore è diffusivo nel senso che si dona a tutti e per sempre e chiede a chi lo accoglie di fare altrettanto, di amare con la stessa gratuità, intensità, concretezza e continuità: «L’umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza. La nostra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c’è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza. Cari amici, aiutate la Chiesa tutta a rendere visibile l’amore di Dio. Vivete la gratuità e aiutate a viverla. Richiamate tutti all’essenzialità dell’amore che si fa servizio. Accompagnate i fratelli più deboli. Animate le comunità cristiane. Dite al mondo la parola dell’amore che viene da Dio» (Benedetto XVI alla Caritas italiana, 21 novembre 2011).
L’amore di Dio e l’abbandono al suo amore suscita in noi l’amore del prossimo: «Per i cristiani, il volontariato non è soltanto espressione di buona volontà. È basato sull’esperienza personale di Cristo. Fu il primo a servire l’umanità, diede liberamente la sua vita per il bene di tutti. L’esperienza dell’amore generoso di Dio ci sfida e ci libera per adottare lo stesso atteggiamento verso i fratelli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8) … La grazia di Cristo ci aiuta a scoprire in noi stessi un anelito umano alla solidarietà e una fondamentale vocazione all’amore. La sua grazia perfeziona, rafforza ed eleva quella vocazione e ci consente di servire gli altri senza ricompensa… Qui vediamo qualcosa della grandezza della vocazione umana a servire gli altri con le stesse libertà e generosità che caratterizzano Dio stesso. Diveniamo anche strumenti visibili del suo amore in un mondo che ancora anela profondamente a quell’amore in mezzo alla povertà, alla solitudine, all’emarginazione e all’ignoranza che vediamo intorno a noi» (Benedetto XVI ai Volontari, 11 novembre 2011).
Dunque: io amo, e in Dio e con Dio abbraccio ogni persona da lui amata, anche chi mi è nemico e neanche conosco, perché Dio ama così, senza fare differenza di persone e si mostra Padre amorevole e misericordioso verso tutti, anche i peccatori. Questo può realizzarsi solo se vivo intensamente l’amore di Dio, cioè un incontro di vera comunione che investe tutta la vita e l’intimità del cuore. Allora imparo a guardare gli altri non solo con i miei occhi, ma con lo sguardo del cuore alimentato dall’amore di Dio.
I santi hanno amato così intensamente perché hanno amato con il cuore di Dio. La carità non è più un comandamento, ma un’esperienza di amore accolto e donato: l’amore cresce attraverso l’amore. Comprendiamo, allora, le espressioni sorprendenti di Paolo ai Corinti: «Se dessi il mio corpo a bruciare e tutte le mie sostanze ai poveri, ma non avessi la carità, nulla mi giova» (1 Cor 13,3).
La carità è il compito primario della Chiesa
«Se vedi la carità, vedi la Trinità», diceva sant’Agostino. E la Chiesa – lo sappiamo – è il popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato donato nella Chiesa, viviamo l’amore. Lo viviamo però in modo imperfetto; da qui l’esigenza di cercare sempre il perdono e la riconciliazione con Dio e tra di noi per purificarci dal peccato di divisione e di orgoglio. Quel lavarci i piedi gli uni gli altri, di cui ci parla e al quale ci invita Gesù nell’ultima cena (cf Gv 13, 12-17), rappresenta il paradigma esemplare del nostro essere Chiesa.
La carità non è risposta solo ai bisogni, che esigono assistenza sociale e potrebbero essere lasciati allo Stato, ma appartiene all’essenza stessa della Chiesa ed è espressione irrinunciabile di essa. Il servizio dell’amore del prossimo, esercitato comunitariamente e in modo ordinato, è una struttura fondamentale della Chiesa. Sappiamo bene che l’intima natura della Chiesa si esprime nel triplice compito dell’annuncio della Parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti, del servizio della carità. Per questo, quando quarant’anni fa si è istituita la Caritas si è posto in evidenza il fatto che ogni comunità cristiana (parrocchia) deve avere la sua diaconia (Caritas) come ha la sua koinonia eucaristica e sacramentale, il cui presidente (il parroco) presiede anche la Caritas.
Da qui si deduce che l’azione caritativa della Chiesa rappresenta un dovere primario, che interessa tutta la comunità e non solo pochi volontari o generosi cristiani che si rendono disponibili. «Ascoltare per conoscere, ma insieme per farsi prossimo, per sostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi necessita di sentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei discepoli di Gesù. Questo è importante: che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possano sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti. In questo modo le Caritas devono essere come “sentinelle” (cf Is 21,11- 12), capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione nel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa. L’individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo in profondo cambiamento» (Benedetto XVI alla Caritas italiana, 21 novembre 2011).
La carità nasce e si alimenta nell’Eucarestia
Il riferimento alla dimensione ecclesiale della carità si radica e si attua a partire della stessa Eucaristia, centro vivo e cuore di tutta la vita della comunità e della sua missione: è dall’Eucaristia che scaturisce la carità ed è questa che manifesta in concreto la verità e l’efficacia salvifica del sacramento del Corpo e del Sangue del Signore. «Questo è il distintivo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità» (Ibid.).
Quando parliamo di carità pensiamo subito alle cose da fare e da dare, nella concretezza dei gesti e delle iniziative. Sembra dunque che l’Eucaristia non c’entri con la carità e questa venga dopo la celebrazione, ne sia il risultato o meglio il frutto. È certamente vero che la carità scende per le strade e i luoghi dove la gente soffre e fatica a causa di malattie e di miserie umane e sociali. Essa, tuttavia, non è per i cristiani solo una buona azione di solidarietà, anche se efficace sul piano dei servizi. La carità è innanzitutto amore che si dona ad ogni uomo e che nasce dall’amore di Dio accolto nell’Eucaristia, in quello spezzare il pane che conduce alla condivisione con tutti.
Nell’Enciclica “Deus caritas est” il Papa afferma che nell’Eucaristia siamo attirati dentro l’atto oblativo di Gesù e veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali egli si dona: «Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori da me stesso verso di Lui e così anche verso l’unità con tutti i cristiani. Diventiamo un solo corpo, fusi insieme in una unica esistenza» (n. 14). Viene così superata la consueta contrapposizione: da una parte il culto e dall’altra la vita, da una parte la preghiera e dall’altra l’azione concreta.
La formazione alla carità, l’animazione della comunità e il coordinamento, che sono tra i compiti principali della Caritas, restano a volte in ombra e rischiano di perpetuare un’idea di carità-elemosina, che lascia il carico poi dell’azione concreta ai volontari, gente generosa, certo, ma che «ha tempo e voglia», direbbe qualcuno. Preoccupa il fatto, ad esempio, che a portare avanti la Caritas in molte parrocchie siano poche persone che, da anni, si impegnano con una dedizione veramente ammirevole, supplendo alla carenza dei giovani e delle famiglie.
Manca, o non è ancora penetrata nella mentalità e nel costume di vita delle assemblee domenicali e dunque nella comunità, la convinzione che la carità non è un optional o un lavoro per addetti, ma un debito-dovere di ogni cristiano sul quale saremo giudicati (cf Mt 25, 31-46) e dal quale soltanto possiamo trarre motivo di credito davanti a Dio. Non è dunque solo questione di attivare in ogni parrocchia la Caritas, ma di educare il popolo di Dio ad assumere in questo ambito una più decisa responsabilità collettiva superando la delega. Su questo punto credo che molto possano fare i Vicariati, attivandosi in collaborazione con la Caritas diocesana per sviluppare quell’opera di formazione necessaria a sostenere le comunità ed i vari gruppi che ispirano la loro azione al Vangelo e per ottimizzare le risorse mirando alle povertà più urgenti e bisognose di aiuto sul territorio e ricercando altresì quelle sinergie e raccordi necessari con i Servizi sociali dei Comuni, con le ULSS e con ogni altro organismo civile interessato.
Quali passi sono necessari per dare solidità al cammino della Caritas in Diocesi?
* la formazione dei volontari e degli operatori. È richiesta una seria formazione sul piano spirituale e sociale e di “professionalità specifiche”. Ogni Vicariato potrebbe organizzare periodicamente qualche incontro di formazione per garantire ad operatori e volontari un cammino qualificato. Se questo impegno manca, la formazione si riduce a ben poca cosa, lasciando tutto come prima. Competenza professionale, dunque, ma anche grande umanità, quella che il Papa chiama «attenzione del cuore»;
* la necessità di un coordinamento vicariale, che dia vigore e forza alle varie iniziative e faccia dialogare ed incontrare le realtà e le persone. In tanti mi hanno manifestato questa esigenza, anche se difficile da concretizzare visti gli impegni di tutti. La carità comporta unità, altrimenti si frammenta in tanti rivoli che disperdono le forze ed impediscono di affrontare seriamente e con le dovute risorse le povertà vecchie e nuove del territorio;
* la grande sfida della missione, su cui la Chiesa oggi è impegnata anche nel nostro Paese, comporta annunciare Cristo ed il Vangelo dell’amore ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito. Chi opera nella carità e nella solidarietà è di per se stesso portato a vivere la missione sulla strada, andando a trovare la gente nelle situazioni e nei luoghi dove vive miserie e povertà. Da qui occorre ripartire per far sì che l’azione caritativa sia vissuta non solo come un “di più” generoso, frutto della buona volontà di pochi, ma come compito di tutta la comunità cristiana, che se ne fa protagonista e responsabile, per diventare più missionaria e dunque aperta all’uomo da servire nelle sue necessità spirituali e materiali: «Attraverso i segni concreti voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande. Vi auguro di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che avete saputo inventare. Rendetele, per così dire, “parlanti”, preoccupandovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qualità della testimonianza che da esse promana. Sono opere che nascono dalla fede. Sono opere di Chiesa, espressione dell’attenzione verso chi fa più fatica. Sono azioni pedagogiche, perché aiutano i più poveri a crescere nella loro dignità, le comunità cristiane a camminare nella sequela di Cristo, la società civile ad assumersi coscientemente i propri obblighi» (Ibid.);
* l’impegno a suscitare volontariato e vocazioni alla carità. È necessario restare sempre aperti al nuovo che lo Spirito suscita, anche in un singolo cristiano, e non fossilizzarsi sulle realtà già esistenti e ben impiantate. Il sangue nuovo è linfa, che dà vigore e rilancia l’azione caritativa. La Caritas deve riconoscere questo fenomeno, promuoverlo, dare sostegno, affinché crescano anche gli apporti più umili. Essa non è una multinazionale della carità, che raggruppa tutti e tutto in un unico contenitore, ma una realtà di animazione e di promozione di ciascuno con la sua specificità e ricchezza. Da tutti deve imparare prima che insegnare. «I giovani reagiscono prontamente alla vocazione di amore. Aiutiamoli ad ascoltare Cristo che fa udire la sua chiamata nel loro cuore e li attrae a sé. Non dobbiamo avere paura di presentare loro una sfida radicale che cambia la vita, aiutandoli a comprendere che i nostri cuori sono fatti per amare e per essere amati. È nel dono di sé che viviamo la vita in tutta al sua pienezza» (Benedetto XVI ai Volontari, 11 novembre 2011).
L’impegno di chi opera nella carità deve testimoniare concretamente il volto di una Chiesa che punta sul Vangelo e sull’amore di Cristo vissuti nel dono di sé per portare in questo territorio un soffio di novità, superando sclerotizzazioni e resistenze al cambiamento. La Consulta diocesana della carità, che si sta costituendo, può essere organismo di dialogo, di confronto, di riflessione ed anche di suggerimenti e proposte comuni. Ricordiamo tuttavia che è facile costituire tali organismi sulla carta, ma molto più difficile sedimentarli nello spirito e attuarli…
Questa dimensione vitale esiste già ed è evidente dalla generosità e dall’impegno di cui ho parlato e che è in atto, giorno dopo giorno, nelle nostre comunità. Potremmo pensare anche di visibilizzare tale volto con un segno importante come il “mandato” da parte del Vescovo. Essa infatti rappresenta l’evento-cuore per chi opera nella carità: non è solo una celebrazione, ma un appuntamento ecclesiale in cui tutti, attorno al Vescovo, rendono visibile il dono di essere Chiesa-carità e di agire come tale con il sostegno della comunione e dell’unità, che ci legano al successore degli apostoli e ci consentono di essere Chiesa.
L’amore genera amore
Concludo con il richiamo che il Papa ha più volte rivolto a quanti svolgono sul piano pratico il servizio della carità nella Chiesa, affinché non si ispirino a ideologie nel migliorare il mondo, ma si facciano guidare dalla fede e dall’amore di Cristo, che risveglia l’amore del prossimo e lo orienta. «Di certo, il lavoro dei volontari non può rispondere a tutte le necessità, ma ciò non ci scoraggia. Né dovremmo lasciarci sedurre da ideologie che vogliono cambiare il mondo secondo una visione puramente umana. Il poco che possiamo riuscire a fare per alleviare i bisogni umani può essere considerato come il buon seme che germoglierà e recherà molti frutti. È un segno della presenza e dell’amore di Cristo che, come l’albero del Vangelo, cresce per dare riparo, protezione e forza a tutti coloro che ne hanno bisogno» (Ibid.).
«L’amore di Cristo ci spinge» (2 Cor 5,14): chi ama Cristo, ama la Chiesa e la conduce sulle vie dell’uomo, affinché sia sempre più strumento dell’amore che da Dio promana. L’azione pratica è dunque insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore di Cristo per l’uomo. Così la via della carità diviene via di evangelizzazione e chi opera in essa diviene un evangelizzatore cosciente di dare non solo servizi ma se stesso e di farlo nel nome di Cristo, comunicando lui come fonte prima di amore e di dono. Da qui scaturisce l’importanza della preghiera come sorgente originaria della carità a cui attingere forza e vigore anche di azione. Perché l’amore di Dio genera amore del prossimo e l’amore del prossimo rinsalda e fortifica l’amore di Dio.
Vi auguro – e vi chiedo come vostro Vescovo – di vivere così il vostro impegno nell’ambito della carità e di rendere continuamente la nostra Caritas non solo segno di impegno sociale e di solidarietà umana, ma anche segno luminoso ed eloquente che svela e manifesta l’amore di Dio per ogni uomo.