«È giusto che le ferite del terremoto vengano completamente cancellate? O piuttosto bisognerà riproporre il nostro patrimonio di arte e di fede colpito in modo nuovo, che racconti alle generazioni future anche questo capitolo doloroso della nostra storia?». A porre l’interrogativo è mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, intervenuto martedì 31 gennaio 2017 alla seconda e ultima giornata del XIX convegno nazionale teologico-pastorale “Il pellegrinaggio: fede e bellezza” promosso da Opera romana pellegrinaggi (Orp) e da Vicariato di Roma – Ufficio edilizia di culto, arte sacra e beni culturali. Il Presule ha ribadito lo stesso concetto in un’intervista all’Ansa del 1 febbraio 2017.
«Il terremoto della Valnerina – ha spiegato Boccardo – ha non solo creato delle ferite al patrimonio artistico e ambientale, ma anche una cesura tra il passato e il futuro perché il terremoto – attraverso le ferite prodotte al paesaggio, agli edifici, alle opere d’arte – ha ferito il cuore e la mente delle persone. Tuttavia, dall’angosciante desolazione è sbocciata anche tanta solidarietà che ha riempito di colore il grigiore della polvere dei crolli; e la sofferenza e la paura si sono stemperate nella speranza di un futuro che ancora potrà esserci. In questi mesi – prosegue mons. Boccardo – abbiamo sentito declinare in tutte le sue forme e tempi il verbo ‘ricostruire’». Pur riconoscendo che la ricostruzione di case, aziende e chiese deve essere una priorità per restituire alla gente della Valnerina una vita dignitosa e sicura, l’arcivescovo di Spoleto esprime qualche perplessità «circa il ricostruire tutto ‘come prima’, specialmente per quanto riguarda le chiese. Per due ragioni principali: anzitutto ricostruire tutto come se nulla fosse avvenuto significherebbe, al termine dei lavori, trovarsi davanti ad un ‘vero falso’, anche se un ‘falso d’autore’. È corretta un’operazione simile? E poi, le ferite, con il tempo e la cura adeguata, si rimarginano, non scompaiono, e diventano cicatrici che rimangono ben visibili. E il terremoto è comunque un evento che fa storia, ed entra nella memoria dei popoli. Gli edifici – sacri e non – portano i segni delle vicissitudini che hanno affrontato o subìto nel corso dei secoli. Invito dunque quanti hanno responsabilità in questa operazione a riflettere, convinto che occorra testimoniare la ferita del terremoto anche a chi verrà dopo di noi. Una ferita che tocca le persone, l’elemento più importante della nostra storia; sono le persone che vivono e danno senso a questi muri e a queste chiese venute giù, nelle quali hanno incontrato il Signore. È importante allora che rimanga la testimonianza di queste chiese che raccontano la fede anche in un momento di prova come questo.
A margine del convegno mons. Boccardo all’agenzia stampa (Sir) della Conferenza Episcopale Italiana è tornato sulla giornata di digiuno del 27 e sulla processione a Norcia del 28 gennaio: «c’è stata risposta corale e di grandissima partecipazione della gente. Il digiuno dà forza alla preghiera. Abbiamo voluto accompagnare con questo sacrificio la nostra invocazione a Dio per chiedere misericordia e tranquillità per le nostre popolazioni. È stata una bella giornata in tutta la Diocesi; in varie parrocchie si sono svolte diverse iniziative per sottolineare la condivisione nella sofferenza con le persone terremotare e per dare più forza all’invocazione». «La processione del giorno successivo – prosegue Boccardo – ci ha aiutato a riprendere la speranza, a sapere che non siamo soli, che la Madonna che stava ai piedi della croce è con noi e ci aiuta a guardare avanti».