Il 1° gennaio 2021 l’Arcivescovo ha presieduto la Messa nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio, in cui la Chiesa celebra anche la Giornata Mondiale della Pace. Col presule hanno concelebrato: don Sem Fioretti, Vicario generale; don Bruno Molinari parroco della Cattedrale, di S. Gregorio e dei Santi Pietro e Paolo; padre Giuseppe Spaccasassi, OAD, parroco di Santa Rita; mons. Luigi Piccioli, priore del Capitolo dei Canonici del Duomo; altri presbiteri diocesani e religiosi. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi diocesani e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino. La liturgia è stata animata dalla corale diocesana diretta da Loretta Carlini; all’organo, Maurizio Torelli.
Il primo gennaio la Chiesa celebra la Giornata Mondiale della Pace, giunta alla LIV edizione: quest’anno il tema scelto da papa Francesco sui cui riflettere è “La cultura della cura come percorso di pace”. E mons. Boccardo nell’omelia ha ricordato che «la pace affonda ancora le radici nella protezione e nella benevolenza divina. Solo di fronte al volto dell’Eterno, solo davanti alla luce che promana da lui, noi possiamo snidare ogni giorno le radici della guerra e della violenza che abitano in noi e guarire le ferite che abbiamo inferto alla pace. Non è sufficiente, infatti, proclamare la pace se non sappiamo camminare insieme, al di là di ogni diversità, per scoprire con emozione i germogli di bene, di fratellanza e di solidarietà che il Signore va disseminando anche nei luoghi più incolti. È questa la pace interiore che vorremmo avere negli eventi tumultuosi e confusi della storia, eventi di cui spesso non cogliamo il senso e che ci sconcertano e trasformano. Quante volte ci siamo chiesti nel corso dell’anno passato: perché qui? perché adesso? perché proprio a noi? Verrà il tempo delle risposte, il tempo in cui sapremo. Per adesso non possiamo fare altro che immaginarci diversi (non migliori; diversi sarebbe già abbastanza). Desidereremmo dunque che ci fosse dato, in tutto il 2021, di considerare gli eventi con la pace di Maria, che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19). Ma da dove viene questa pace? Essa nasce in noi dall’azione dello Spirito Santo che – come afferma San Paolo nella seconda lettura tratta dalla Lettera ai Galati (4, 4-7) – dall’intimo dei nostri cuori suscita in noi l’invocazione filiale: “Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà! Padre!” (Gal 4, 6).
Il coraggio per vivere. Mons. Boccardo ha sottolineato ai fedeli presenti il grande bisogno «di coraggio per vivere e non sopravvivere. C’è bisogno di coraggio – ha detto – per amare e lasciarsi amare, per sposarsi e fidarsi di un’altra persona, per fare un figlio e poi essergli davvero padre o madre… Tanto più per affrontare l’attuale situazione, che ci confronta ogni giorno con la paura più grande, quella della morte. Ma forse qui abbiamo bisogno ancora di un altro coraggio, quello che nasce non dalla paura ma dall’accoglienza della vita come dono del tutto gratuito e immediato, così ricco e intenso da rendere il vivente capace di fare dono a sua volta della propria vita vivendola pienamente, al massimo, dandole il senso più vero e più bello che l’uomo le possa mai dare, cioè “generando vita” a sua volta, facendosi carico dell’altro, spendendosi. Chi infatti si dona e lo fa in modo molto concreto (in famiglia, nella società civile ed ecclesiale, nel servizio disinteressato e nell’assistenza gratuita ai più deboli), infatti, “deve” morire ogni giorno a se stesso, perché l’amore ha una struttura pasquale. Il coraggio di cui parliamo – ha proseguito il Presule – non è allora banale ottimismo che vuol credere a tutti i costi che anche stavolta ce la faremo, o temerarietà di chi nega tutto o non percepisce la potenza del rischio, né è solo impegno pur benemerito a trovare rimedi, tanto meno è solo pregare e impetrare da Dio la grazia di non essere toccati dal virus o di venirne fuori presto… Il coraggio credente non viene dalla paura, ma da quella fiducia che consente di guardare al futuro non pretendendo che “tutto andrà bene”, ma sapendo con assoluta certezza che Dio sarà al mio fianco, che non mi lascerà solo, nemmeno se sarò isolato o intubato in una stanza d’ospedale, e mi darà in ogni caso la forza di vivere i miei giorni riempiendoli di luce. Perché Dio – ha concluso l’Arcivescovo – è fedele, amico affidabile, mani sicure, garanzia di un amore più forte della morte. E mi posso fidare di lui!».