Dopo aver dato spazio agli antichi profeti e a Giovanni il Battista, la liturgia di questa IV domenica di Avvento ci presenta Maria come colei che, in primo piano, ha preparato la nascita storica di Gesù Cristo, e per questo ce l’addita quale modello della nostra immediata preparazione alla venuta del Signore nel mistero. Il tono della liturgia di questa sera è dato principalmente dal testo evangelico. L’episodio narrato viene immediatamente dopo il sì pronunciato da Maria: essa ha detto sì e si è fatta serva del suo Signore. Non ha fatto altro, ma è proprio questo sì e questo servizio che hanno permesso al progetto di Dio di farsi storia. E Natale è esattamente questo: la rivelazione nel tempo del «mistero nascosto da secoli e da generazioni» (cf Col 1, 26).
Maria dice sì e si consegna a Dio nell’atteggiamento di chi si mette a servizio e assume un impegno che d’ora in avanti la identifica. Il progetto e l’iniziativa di Dio entrano nella sua vita; il suo essere umano ne è come travolto: è a questo che Maria ha detto sì, senza sapere che cosa poi sarebbe accaduto.
Se al principio il sì e il servizio di Maria sono imperscrutabili, acquisteranno però, di giorno in giorno, i tratti di un cammino: eccola frettolosa andare incontro al suo prossimo, con le intenzioni della carità e dell’amore. Non porta qualcosa, Maria porta Qualcuno. Nel momento dell’Annunciazione, Dio le va incontro, la chiama e la rende madre del suo Figlio. Nella casa di Elisabetta Maria rivela che il Promesso è venuto, che il tempo è compiuto. Ecco la fecondità del sì e del servizio di Maria!
Mi piace rileggere nell’avventura umana e spirituale della fanciulla di Nazareth quella di ogni cristiano, chiamato da Dio ad accoglierlo nella propria vita e a farsene gioioso annunciatore e testimone ai fratelli. Ma vi vedo anche in qualche modo la storia di noi sacerdoti e la tua, caro Luís. Anche noi, come Maria, prevenuti e sostenuti dalla grazia, abbiamo detto sì al Signore che ci ha chiamato; anche tu lo dici ora il tuo sì, davanti a questa che è diventata la tua Chiesa e che oggi ti accoglie con gioia come segno della fedeltà di Dio alle sue promesse, circondato da famigliari ed amici, tra i quali mi piace salutare e ringraziare particolarmente tuo fratello, le Suore della Sacra Famiglia e quanti hanno contribuito alla tua formazione.
È lo stesso sì di Maria, i suoi atteggiamenti interiori ed esteriori, la stessa sua generosità e il medesimo suo affidamento al progetto di Dio che oggi vengono richiesti a te, mentre ti accosti trepidante all’altare per ricevere il dono altissimo e tremendo del sacerdozio. Soltanto questo sì a Cristo e agli altri ti darà la gioia, senza rimpianti, di esserti lasciato “afferrare” dal Signore Gesù e di avergli donato non solo qualche tempo o qualche aspetto della vita, ma la vita tutta intera. Diventerai così strumento ammirabile dell’opera della salvezza, come lo è stata la Vergine Maria.
Colui che hai scelto come padre nel tuo cammino, il Beato Pietro Bonilli, ordinato sacerdote proprio un 19 dicembre (era il 1863), scriveva nel suo diario: «La salute di molte anime è legata alla mia perfezione; ne’ divini disegni, molte saranno salvate se io le conduco al cielo colla mia santità; andranno molti dannati se, non correndo loro dietro collo zelo del santo prete, li abbandono alla lor debolezza. In ogni operazione sì della vita privata che pubblica, ricorda quel che in tal circostanza avrebbero operato il tuo divin Maestro o i suoi Santi».
Perché il prete vive soprattutto di relazioni; dedica il suo tempo alle persone. Non si dovrebbe curare di cose, di carte, di soldi, se non secondariamente. Passa il suo tempo ad incontrare gente: i bambini e gli anziani, i giovani e gli adulti, i malati e i sani, quelli che gli vogliono bene e quelli che lo criticano, lo deridono e pretendono. E incontra le persone non per vendere loro qualche cosa, non per trarne qualche vantaggio, non per curiosità, non come si incontra un cliente, ma per prendersi cura della loro vita, della loro vocazione alla gioia, del loro essere figli di Dio. In una parola, va incontro alle persone come Maria è andata incontro ad Elisabetta: portando Gesù. Al prete spesso le persone aprono il cuore per una confidenza che non ha eguali nei rapporti umani e in questa confidenza viene seminata la Parola che dice la verità, che apre alla speranza, che guarisce con il perdono. È una esperienza umana straordinaria; le sue radici però affondano lontano, dove è la sorgente della gioia.
Il prete, infatti, viene da una misteriosa storia d’amore, una storia che colma di gioia: è la gioia sorgiva della vocazione, quando si scopre il peso, soave e tremendo, di una scelta irreversibile da parte di Cristo, non meritata, non cercata, eppure trepidamente amata e voluta. E allorché lungo il cammino avverte con timore la sua povertà, la fragilità, l’incapacità, il sacerdote sa che il Signore lo custodisce nelle sue mani e lo sostiene allargando gli orizzonti della sua vita perché è Lui che lo ha chiamato, che lo ha mandato, che mette sulla sua bocca le parole da annunciare e che gli sarà vicino in ogni momento con la sua consolazione.
Strettamente legata a quella della vocazione, esiste per il prete un’altra sorgente di gioia: è la gioia del perdono, che questo anno giubilare della misericordia appena iniziato propone con insistenza alla nostra meditazione e al nostro esercizio. È la gioia che ci prende, ogni giorno di più, quando riconosciamo che la chiamata al presbiterato è un mistero di misericordia, un mistero che non cessa di meravigliarci e di suscitare la lode e la gratitudine al Signore. Scriveva il Beato Bonilli: «Ho cantato la prima Messa. L’unico mio pensiero è la mia indegnità. Dio mio cosa mai avete fatto? Io elevato sì alto… Dunque io debbo operare tutto a vostra gloria, non far altro che la vostra volontà». Graziati e perdonati dallo Spirito che ci fa creature nuove, siamo mandati a testimoniare la misericordia del Padre, più potente del peccato e della morte, che si manifesta al meglio quando rivaluta, promuove, trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo.
Noi preti gioiamo perché la nostra missione è quella di perdonare, unire, riconciliare con Dio e con i fratelli, quella di rallegrarci per il ritorno di chi era lontano o perduto; è una missione liberante, pacificante, di cui l’umanità oggi ha tanto bisogno. Nostra missione è testimoniare la fede, farsi compagni di viaggio degli uomini e delle donne di oggi senza possedere le persone, ma aiutandole a crescere nella vera libertà; nostra missione è confortare e consolare, ma insieme anche inquietare, proponendo con coraggio i valori del Vangelo; nostro compito fondamentale è dimorare nel cuore di Cristo, pieno di amore e di compassione, per condividere i dolori e le sofferenze, le gioie e le speranze della gente, liberandola dalla paura e aprendola ad orizzonti di serenità e di pace interiore. Così delineava il proprio ministero il Beato Pietro: «Il prete dev’esser puro, umile, ubbidiente, paziente, generoso, zelante. Riguardo a questo punto: chi non è zelante, non è un prete santo davvero. Questo s’esercita colla predicazione, istruzione pubblica e privata, colla visita agli infermi, coll’esempio edificantissimo».
Torniamo a guardare alla Vergine Maria, che riconosce con gioiosa esultanza che tutto risale all’iniziativa libera e gratuita di Dio, il Signore salvatore. Egli infatti si è chinato sulla sua miseria: «Ha guardato all’umiltà della sua serva». Quello che trasforma la miseria in umiltà è l’apertura credente di Maria, che si mette a totale disposizione del suo Signore, al quale risponde, anticipando in un qualche modo le parole del Figlio: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà».
Anche tu, caro Luís, ripeti ora trepidante la stessa affermazione: «Ecco, io vengo». E in te si rinnova il mistero della Chiesa, che è quello di essere un popolo di chiamati; in te rifiorisce, nel suo valore sempre creativo, il gesto d’amore infinito con il quale Gesù chiama, interpella, sospinge alla sequela: «Vieni, seguimi» (cf Mc 10, 21). Ogni giorno della tua esistenza dovrà vivere di questo dono; dovrà misurarsi su questo impegno; dovrà ripetere, con la trepidazione di Pietro e con l’intima e sincera tensione della ricerca: «Signore, tu sai tutto, lo sai che ti voglio bene» (Gv 21, 17). Soltanto questa apertura e disponibilità a Cristo e agli altri ti darà la gioia, senza rimpianti, di esserti lasciato afferrare dal Signore Gesù: e nessuno ti strapperà dalla sua mano (cf Gv 10, 29).
Vieni, dunque, per ricevere la grazia dello Spirito, che segnerà per sempre la tua vita. Vieni: e la tua ordinazione ricordi al popolo cristiano l’appello accorato di Gesù: «Pregate il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9, 38).
E «il Dio della pace … ti renda capace di ogni opera buona e ti conceda di fare la sua volontà; anzi egli compia in te tutto ciò che gli piace per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (cf Eb 13, 20).