La solennità dell’Immacolata ci pervade sempre di profonda letizia interiore. Vogliamo innanzitutto rendere lode a Dio per il meraviglioso dono riservato a Maria di Nazareth di essere santa fin dalla concezione, di non essere mai sfiorata dal peccato e dal male.
Il mistero che celebriamo incoraggia e conforta dunque il nostro cammino, spesso incerto e oscuro, illumina il senso della storia, rischiara di luce anche i momenti difficili e trepidanti che il mondo sta vivendo. Esso afferma infatti che c’è nel mondo e nella storia, malgrado ogni apparenza contraria, una sorgente pura, da cui deriva un torrente di grazia che ringiovanisce il mondo.
Il libro della Genesi, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci dice che l’uomo, posto da Dio al centro della sua opera creatrice, non ha voluto dialogare con lui, non ha creduto alla sua Parola, si è ribellato al suo disegno, ha preferito un futuro diverso, ha usato male la libertà donatagli dal Creatore. Questo ci ricorda l’aspetto conflittuale della vita cristiana: essa non si misura soltanto dai progressi fatti, spesso difficili da valutare; non si tratta di un semplice processo evolutivo. La vita cristiana si misura anche dalla sua capacità di resistenza al male, dalla lotta contro le tentazioni che assalgono e cercano ogni giorno di demolire o logorare la nostra fede e la nostra speranza.
Il brano evoca poi per contrasto l’esperienza di Maria, che è più potente di ogni esperienza di male. L’Immacolata è il segno della vittoria di Dio sul male, perché proclama la libertà dall’eredità del peccato. E noi sappiamo che Maria ci è vicina, ci aiuta nella lotta quotidiana contro ciò che si oppone al Vangelo e alla costruzione di un mondo che sia riflesso del regno di Dio, regno di pace e di verità, di amore e di giustizia.
Oggi, ancora una volta, Maria ci assicura che ciascuno di noi può essere colmato della grazia divina, perché siamo chiamati ad essere santi e immacolati nella carità, come ci ha ricordato san Paolo nella seconda lettura. L’origine e il termine dell’uomo non sono dunque il non senso, il caso o il caos, ma la certezza di essere amati e lo svelamento pieno di questa certezza.
Ma il mistero dell’Immacolata non è soltanto l’esaltazione della benevolenza del Padre verso colei che sarebbe stata la madre del suo Figlio, ma anche l’esaltazione della risposta libera e amorosa di Maria alla chiamata di Dio. Nel testo del vangelo di Luca, Maria viene salutata dall’angelo come «piena di grazia», cioè di santità e di bellezza divina, sia perché è stata redenta in modo sublime, sia perché ha accolto questa grazia, l’ha custodita, l’ha fatta crescere, affidandosi alla parola del Signore di cui si è dichiarata serva, e diventando poi discepola perfetta di Gesù. Ha creduto possibile l’impossibile e in quel momento, dicendo “si” alla proposta di Dio, il miracolo si è compiuto, il Verbo si è fatto carne nel suo seno, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo è venuto in mezzo a noi. Maria ha permesso alla grazia di invadere la storia del mondo, di creare quell’umanità rinnovata di cui lei è l’esempio più perfetto, più splendido.
È lo stesso “si” di Maria, i suoi atteggiamenti interiori ed esteriori, la stessa sua generosità e il medesimo suo affidamento al progetto di Dio, che oggi vengono richiesti a te, caro Simone, mentre ti accosti trepidante a questo altare per ricevere il dono altissimo e tremendo del sacerdozio di Cristo.
In te infatti si rinnova il mistero della Chiesa, che è quello di essere un popolo di chiamati; in te rifiorisce, nel suo valore sempre creativo, il gesto d’amore infinito col quale Gesù chiama, interpella, sospinge alla sequela: «Vieni, seguimi» (cf Mc 10, 21). Non possiamo, infatti, dimenticare che alla radice più profonda del nostro essere sacerdoti, come del nostro essere cristiani, vi è la chiamata, vi è l’iniziativa divina carica di amore, vi è l’appello e la scelta di Dio, in Cristo Gesù.
Per questo il Signore può dire ai suoi apostoli – e in loro anche a noi – «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (ibid. 15); per questo il Signore dice ora anche a te, come ha detto agli apostoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (ibid. 9).
Ogni giorno della tua esistenza dovrà vivere di questo dono; dovrà misurarsi su questo impegno; dovrà ripetere, con la trepidazione di Pietro e con l’intima e sincera tensione della ricerca: «Signore, tu sai tutto, lo sai che ti voglio bene» (Gv 21, 17). Soltanto questa apertura e disponibilità a Cristo e agli altri ti darà la gioia, senza rimpianti, di esserti lasciato “afferrare” dal Signore Gesù e di avergli donato non solo qualche tempo o qualche aspetto della vita, ma la vita tutta intera.
Diventerai così strumento ammirabile dell’opera della salvezza, come lo è stata la Vergine Maria: «Perché – come afferma Papa Benedetto XVI nella sua recente lettera ai seminaristi – gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa … Dio vive, e ha bisogno di uomini che esistono per Lui e che Lo portano agli altri. Sì, ha senso diventare sacerdote: il mondo ha bisogno di sacerdoti, di pastori, oggi, domani e sempre, fino a quando esisterà» (Benedetto XVI, Lettera ai seminaristi, 18 ottobre 2010).
Insieme con mamma Orsola e papà Lanfranco, con Luca e i nonni, con don Settimio Berzetta – dal cielo – , il parroco che ti ha battezzato e ti ha visto muovere i primi passi da seminarista, ci rallegriamo questa sera perché accogliamo in te il dono di Dio, perché per mezzo tuo e nel ministero che qui inizi Dio continua a prendersi amorevole cura di tutti noi che siamo suo popolo. In questa Basilica Cattedrale, è tutta la Chiesa di Spoleto-Norcia che, con il suo Vescovo, i sacerdoti, i religiosi ed i fedeli laici, ti accoglie con gioia e speranza ed attende da te la parola che salva ed il sacramento che la edifica.
Ma la nostra gioia è in un certo senso velata da tristezza e trepidazione: con l’ordinazione presbiterale di don Simone il nostro Seminario rimane vuoto, nessun altro giovane si sta preparando al sacerdozio. Crediamo fermamente che il Signore non farà mai mancare il ministero sacerdotale alla sua Chiesa, ma proprio per questo io, come Vescovo, sento il dovere di lanciare ai giovani qui presenti un appello accorato: «Chi fa entrare Cristo nella sua vita non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande… Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo» (cf Benedetto XVI, Omelia, 24 aprile 2005). La nostra Chiesa, la Chiesa che vi ha generato alla fede, ha bisogno di voi e tende umilmente la mano per bussare al vostro cuore: nessuno avrà il coraggio di donare la vita per il Vangelo e per il servizio dei fratelli?
E poi: è tutto il popolo cristiano che deve preparare, nelle sue famiglie esemplari, il buon terreno dove la semente possa germogliare e produrre; è tutto il popolo cristiano che deve manifestare la sua attesa e la sua stima verso il sacerdote, creando così il clima favorevole al dischiudersi dei giovani alle cose di Dio; è tutto il popolo cristiano che deve domandare umilmente ciò che Dio solo può dare, pregando, secondo il comandamento del Maestro, perché mandi operai nella sua messe (cf Mt 9, 38). Tutto il popolo, ma primi fra tutti gli stessi sacerdoti, all’esempio, al fervore, alla fedeltà dei quali è sospeso l’intero avvenire della Chiesa.
Caro Simone, ti accompagniamo dunque con la nostra amicizia e la nostra preghiera: la Vergine Maria metta nel tuo cuore il suo “si” e con la sua intercessione ti ottenga di conformare tutta la vita all’azione salvifica di Gesù, sommo ed eterno sacerdote. All’azione di lui povero: nel distacco concreto da ogni umano potere e da ogni interesse terreno; di lui vergine: nel totale e indiviso amore al Padre, nel generoso dono di te ai fratelli, nell’attesa esclusiva del Regno; di lui servo obbediente sino alla morte: nell’ascolto della sua parola, nell’obbedienza al suo precetto d’amore, nell’accettazione della sua volontà, nella conformità alla sua passione, perché tu possa partecipare della gioia della sua resurrezione.
E «il Dio della pace … ti renda capace di ogni opera buona e ti conceda di fare la sua volontà; anzi egli compia in te tutto ciò che gli piace per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (cf Eb 13, 20).