Nella pagina del Vangelo che è stata appena proclamata risuona un annuncio formidabile: «Oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore». Desidero ripeterlo di nuovo, perché esso fa del Natale un giorno di autentica e profonda commozione, di gaudio interiore, di speranza certa. E vorrei aggiungere l’augurio che abbiamo ascoltato ancora dallo stesso brano: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama»; l’augurio antichissimo e nuovo della pace, che rivolgo fraternamente a ciascuno di voi, un augurio che sgorga dalla povertà della grotta di Betlemme dove nasce il Figlio di Dio. Il Vangelo è tutto qui, il suo contenuto di effettiva salvezza e di definitiva liberazione è racchiuso nelle brevi espressioni che ho voluto citare. Il lungo cammino dell’umanità verso il futuro di Dio si è incontrato e si incontra in Gesù, nel Verbo divino fatto uomo per rendersi pienamente presente nella storia.
Anche al tempo di Cesare Augusto la storia sembrava immersa nelle tenebre, sembrava in mano ai potenti che disponevano dei popoli. Ma i potenti non si accorgono di quanto avviene nell’insignificante villaggio di Betlemme, della luce che all’improvviso si accende nel mondo: Dio viene in mezzo a noi con la nascita del suo Figlio, Gesù, fatto bambino, avvolto in fasce da
Maria e posto in una mangiatoia. Egli partecipa alla nostra povertà per colmarci della sua ricchezza e l’angelo lo annuncia ai pastori quale grande gioia, «una gioia che sarà di tutto il popolo», e gli attribuisce nomi straordinari: Salvatore, Cristo Signore. I pastori, avvolti da una luce sfolgorante, ascoltano l’inno cantato da una moltitudine dell’esercito celeste, che unisce terra e cielo. Nessuno potrebbe mai immaginare ciò che di fatto è accaduto: Dio, che contiene l’universo, è diventato bambino. Nel suo Natale, noi leggiamo la dedizione di Dio all’uomo per liberarci dalla schiavitù del male e farci suoi figli.
Ma la grandiosità che cerchiamo di evocare con povere parole e che è un canto di gioia, di letizia, la voce di un messaggero di bene, di uno che annunzia la pace, non deve ingannarci. La particolare atmosfera che si rinnova a Natale non vuole negare lo spessore tragico della nostra storia, anche di quella più recente scritta dalle scosse del terremoto; non vuole negare la pesantezza di una situazione che sembra troppo dura, che sembra volerci far perdere la speranza.
Noi non siamo certo qui a celebrare il Natale per dimenticare, per evadere momentaneamente dalla paura, dalla tristezza, dall’angoscia che ritma i nostri giorni, dal pensiero di un futuro che si presenta ancora incerto e indefinito. Non siamo qui per far finta che non ci sia intorno a noi, e un poco anche dentro di noi, tanto buio e tanto vuoto.
Siamo qui per riascoltare ciò che i pastori hanno visto e ascoltato e hanno raccontato prima di noi; siamo qui per vedere la luce che è apparsa nelle tenebre. Quanto ne abbiamo bisogno! Perché siamo tutti mendicanti di speranza e di forza: speranza che diventi compagna di viaggio e ci faccia guardare avanti con fiducia; forza che dal di dentro ci motivi per una autentica ricostruzione umana, morale e materiale.
È vero che guardare le rovine delle nostre case e delle nostre chiese stringe il cuore, è vero che la tentazione di rinunciare tante volte sembra avere il sopravvento sulla voglia di ricominciare, è vero che l’attesa di risposte e soluzioni concrete ed efficaci diventa snervante e la sfiducia è continuamente in agguato… Ma è altrettanto vero che questo Natale vissuto nelle difficoltà che ben conosciamo può segnare anche l’inizio di una rinascita interiore, fatta di fiducia ritrovata, di accoglienza reciproca, di collaborazione, di aiuto generoso e disinteressato.
Siamo tutti testimoni ammirati e riconoscenti di tanta solidarietà e fraternità che in questi mesi ci ha accompagnato e quasi avvolti come in un abbraccio. Come non ricordare qui e ringraziare le Istituzioni, i Vigili del fuoco, la Protezione Civile, l’Esercito, le Forze dell’Ordine, la Croce Rossa, le Misericordie, la Caritas italiana e diocesana, tutte le Associazioni e le persone che in modi diversi hanno condiviso e sostenuto la fatica quotidiana di tanti. Anche grazie a queste presenze così significative e feconde è possibile ripartire e guardare al futuro: la gente della Valnerina deve poter ritrovare quanto prima una vita sicura e dignitosa, e ciò si realizzerà con il ritorno alla propria casa e al proprio lavoro, senza inutili lungaggini e passaggi burocratici che rallentino il cammino.
La certezza di essere amati da Dio come suoi figli ci da la carica necessaria per superare il momento difficile e l’inquietudine che ci attanaglia. Anzi, proprio questa inquietudine potrebbe essere letta come un indizio e un segnale che c’è una via d’uscita, che l’inquietudine può venire sanata non da un modo diverso di rimescolare le carte, bensì da uno sguardo più alto, che vede e valuta le cose e gli avvenimenti alla luce che viene da Betlemme e propone valori nuovi, relazioni autentiche, aperture di credito a una forza capace di spalancare i cuori e di rinnovare gli entusiasmi.
Proprio questa notte ci induce a sognare un’esistenza rinnovata, una politica con più fiato, una maggiore attenzione a chi ci sta accanto, una più grande fiducia nelle istituzioni, meno egoismi privati e maggior coraggio pubblico, l’apparire di prospettive in grado di giustificare i sacrifici che facciamo e che sono, in qualche modo, inevitabili.
In ogni momento Dio attende da noi una risposta sempre più sincera e sempre più libera al suo amore rivelatosi nel Natale. Dipende da ciascuno di noi se oggi è o non è Natale. Dipende da noi, perché Dio vuole consegnarsi a noi, ma attraverso le nostre braccia aperte, attraverso la disponibilità del nostro cuore. Perché Gesù entra dove lo si lascia entrare.
È il mio augurio di buon Natale! Apriamo le porte al Signore che viene e, fidando nella sua compagnia potente e fedele, continuiamo a camminare con fiducia e con speranza.