Omelia nella festa di S. Ponziano, Duomo di Spoleto, 14 gennaio 2020

Omelia nella festa di S. Ponziano, Duomo di Spoleto, 14 gennaio 2020

Omelia nella festa di S. Ponziano, Duomo di Spoleto, 14 gennaio 2020

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Omelia nella festa di S. Ponziano, Duomo di Spoleto, 14 gennaio 2020

In un giorno come questo, il popolo di Dio che è in Spoleto avverte con particolare intensità la gioia e la fierezza di essere in piena comunione con tutta la secolare storia della sua amata città; di possedere la stessa fede dei padri che l’hanno fatta nobile, bella e grande; di essere l’erede primo e più titolato di quell’epoca splendente che, sotto l’ispirazione del messaggio di Cristo, ha arricchito la vita civile di istituzioni mirabili e di capolavori dell’arte, come questa bella Cattedrale.

Al tempo stesso, nella festa del Patrono che è festa di tutti, i credenti si sentono spinti ad aprire il loro cuore all’intera cittadinanza, a offrire a tutti gli spoletini i sentimenti della loro simpatia, della loro amicizia, della loro volontà di collaborazione, a implorare da Dio per tutta la grande famiglia ponzianina, al di là delle diverse convinzioni, prosperità, benessere, pace e un sereno avvenire. Oggi siamo poi indotti a pregare anche per quanti esercitano nella città di San Ponziano e nella Regione dell’Umbria il difficile servizio dell’autorità: preghiamo per la loro vita e la loro salute fisica e spirituale, per la loro missione civica e perché si adoperino sempre con operosa saggezza e con spirito di equità per il bene di tutti. E vorrei che il mio saluto e il mio augurio di pace entrasse in tutte le case e arrivasse a tutte le coscienze come il dono cordiale del vescovo.

La memoria del nostro Santo Patrono – giovane appassionato e ardente, fiero della propria dignità cristiana e generoso nella testimonianza – e la sua avventura umana e spirituale ci inducono per un attimo a sostare pensosi e a considerare il nostro quotidiano cammino. «Siamo un popolo di stressati, perché non abbiamo un traguardo, una prospettiva», riconosceva recentemente Giuseppe De Rita a margine della presentazione del Rapporto del Censis. «Di fatto, ci manca il futuro, e per questo il presente diventa faticoso, fastidioso», concludeva. È vero: le nostre giornate sono spesso condite di tanta confusione, incertezza e insicurezza; si ricorrere alle più disparate opinioni e ci si affida ad ideali vuoti e vani, che finiscono per deludere, lasciarci nella solitudine, disorientarci nella ricerca di un bene grande e di un senso vero per l’esistenza. Tutto sembra farsi relativo e subordinato ai nostri pensieri, ai nostri discutibili gusti, alle nostre piccole attese. Nel contempo, cresce una continua, frammentata e ultimativa richiesta di singoli e di gruppi di interesse, un succedersi di veti incrociati, che rende ardua e alla lunga frustrante la gestione della cosa pubblica per la spinta altalenante a fare concessioni contrapposte, con un equilibrio sempre instabile. Tutto ciò destruttura il costume esistente e alla fine introduce surrettiziamente, per via di fatto e non di motivazioni, un costume nuovo. Se tutte le posizioni etiche sono equiparate indiscriminatamente, è inevitabile che finisca per prevalere quella che suona più facile, più piacevole e al momento meno impegnativa. Non è più una società “bella e buona” quella a cui si tende; è una convivenza fiacca, opaca, frammentata, una società senza forma. Come non richiamare in questo contesto la recente depenalizzazione del consumo personale di cannabis e, in prospettiva, la legalizzazione delle droghe più dure? Sono trascorsi pochi giorni da quando la Corte d’Assise di Milano ha depenalizzato l’aiuto al suicidio e, in prospettiva, l’eutanasia…

Qualche decina di anni fa sui muri si poteva leggere la scritta: «È vietato vietare». Oggi si direbbe che quell’affermazione si sia trasferita nei cuori. L’umanità sembra convinta che la sola cosa deplorevole sia la limitazione del suo capriccio. Ma allora perché meravigliarsi se ciascuno si crede autorizzato ad agire secondo il proprio tornaconto, scavalcando le leggi o interpretandole a proprio vantaggio e alimentando direttamente un malsano modo di pensare che favorisce corruzione e clientelismo?

Per correggere l’individualismo, la solitudine e la frammentazione, che sono generatori di sofferenza e morte, di disperazione e distruzione, dobbiamo camminare insieme e sognare insieme un nuovo domani! È certamente difficile superare i campanilismi, ma solo così potremo costruire un valido e credibile “edificio sociale”. In un’Italia dove tre persone fanno già un partito, tutti siamo chiamati a far risuonare l’armonia delle diversità ospitando le differenze, che insieme costruiscono la ricchezza della pluralità. Abbiamo bisogno di coltivare nel cuore grandi sogni e non passioni tristi! Il sogno è un insieme di speranza e di azioni concrete, è l’anticipazione della direzione verso cui andare e la sfida di porre piccoli e grandi gesti che cambino le situazioni, è la voglia di comunità e la capacità di costruire legami. C’è urgenza di suscitare e sostenere desideri per i quali valga la pena impegnarsi. Non di desideri-spot che generano la voracità dell’oggetto e alimentano il consumismo, ma di quel desiderio buono che è progettazione, capacità di guardare avanti, impegno coerente e responsabile, speranza.

In questa situazione, quale insegnamento possiamo trarre dalla vita del nostro Santo Patrono? Lasciamoci guidare dalle tre letture che sono state proclamate. Il breve testo del Vangelo secondo Giovanni esprime già il senso degli altri due: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua…» (12, 24-26). Il seme è Gesù che, attraverso la morte di croce, porterà frutto abbondante donando la vita a tutti gli uomini. E il discepolo viene assimilato al Maestro: «Dove sono io, sarà anche il mio servo». Il giovane Ponziano è icona del perfetto seguace di Cristo: ha reso a lui una testimonianza pacifica con amore e inermità accettando il martirio, ha donato la vita per la fede, è stato decapitato da coloro che rifiutavano il messaggio del Vangelo e il suo sacrificio è stato un seme che ha portato frutto per la crescita della Chiesa spoletina. Non a tutti è dato il martirio di sangue, però a tutti i credenti Gesù chiede di donare la vita nell’assunzione delle proprie responsabilità personali e sociali, nel compimento del dovere quotidiano, nella solidarietà e nella condivisione con chi è nella sofferenza e nel bisogno, nella costruzione del bene comune. Perché la vita si dispiega in pienezza soltanto se è spesa e accolta nell’amore. E l’amore non è mai solo per sé, ma sempre per qualcuno e sempre insieme a qualcuno. Dobbiamo imparare sempre di nuovo a prenderci cura gli uni degli altri, affinché l’esistenza di tutti possa crescere in abbondanza (cf Gv 10, 10).

Scrivendo ai cristiani di Corinto (e siamo alla seconda lettura), Paolo ringrazia Dio che, mediante le prove, lo fa partecipe del trionfo finale di Cristo e indica che il Vangelo comporta la scelta tra la vita e la morte. La comunità di Corinto è la sua vera lettera, scritta con Io Spirito del Dio vivente. La lettera della Chiesa di Spoleto è il martirio di Ponziano, che l’ha battezzata nel sangue. Non c’è testimonianza più grande dell’amore che Dio nutre nei confronti dell’uomo di quella del cristiano che rimane fedele al battesimo ricevuto e allo stile di vita che ne deriva, impegnandosi per il bene di tutti. È dunque una forma di martirio la vita del credente che lotta ogni giorno per vincere il male con il bene, annientando con il fuoco dell’amore e del perdono il male che porta dentro di sé e che esiste nel mondo. Tutti possiamo vivere così, in grazia del battesimo e della cresima che abbiamo ricevuto, lasciandoci raggiungere quotidianamente dalla luce e dalla gioia del Vangelo.

La prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, illustra la sorte finale dei santi e dei martiri, di coloro che sono passati attraverso la tribolazione e hanno lavato le vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello. Ormai sarà lui il pastore e li guiderà alla fonte delle acque della vita. Percorrendo fedelmente il cammino della vita il santo, il martire – come Ponziano – giunge alla meta gloriosa dell’eternità, dove raccoglierà i frutti del suo impegno e vivrà per sempre nell’infinito gorgo di luce e di pace che è Dio. È nell’Eucaristia che attingiamo la forza e il nutrimento per ravvivare in noi e nelle nostre comunità questo mistero ineffabile che ci sospinge a fare della vita cristiana un dono per il mondo intero. Infatti, nella partecipazione all’Eucaristia veniamo attratti da Gesù e a lui assimilati divenendo capaci di irradiare il Vangelo mediante il dialogo, il perdono, la collaborazione, la gioia e la speranza, i gesti di donazione generosa e di servizio disinteressato che edificano la comunità.

San Ponziano cammini con noi, ci sostenga con il suo esempio, ci accompagni con la sua intercessione. E così sia.

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