Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2018

Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2018

Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2018

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Omelia nel Giorno di Natale, Duomo di Spoleto, 25 dicembre 2018

Una luce e una voce dal cielo: questo è ciò che di insolito si è manifestato a Betlemme duemila anni fa. E ha cambiato la storia del mondo. L’abbiamo rievocato la scorsa notte, ed è qualcosa che non vogliamo più dimenticare. Il significato più semplice e il dono più prezioso del giorno di Natale è proprio quello di farci recuperare la memoria. La festa odierna ci ridona infatti il ricordo vivo di un evento centrale nella vicenda umana, il solo evento che è davvero inedito, davvero rivoluzionario, davvero redentivo per l’uomo: la nascita del Figlio di Dio nella nostra carne mortale. Noi cristiani – noi che celebriamo il Natale – siamo essenzialmente un “popolo che ricorda”; un popolo che però vive in mezzo a un’umanità smemorata. Smemorata perché è tutta presa e quasi ossessionata dalla preponderanza di ciò che è attuale, quindi effimero e senza un consistente futuro. Proprio per questo, noi che celebriamo il Natale riceviamo contestualmente l’impegnativa missione di preservare i nostri contemporanei – con la nostra testimonianza, il nostro annuncio, la nostra gioia – dalla sventura della dimenticanza.

Perché la dimenticanza della propria origine e del proprio destino è alla radice di ogni insensatezza e di ogni sottile alienazione. Che in sostanza è “dimenticanza di Cristo”, se è vero (come è vero) che tutti dall’inizio siamo stati in lui pensati e voluti dal Dio creatore; se è vero (come è vero) che l’intera nostra esistenza, giorno dopo giorno, è un procedere fatale incontro a lui, Signore della storia. È probabilmente proprio questa “dimenticanza” che sembra condurre il nostro mondo verso un desolante deserto di umanità, dove non si è più capaci di riconoscere in ogni uomo l’immagine stessa di Dio, di quel Dio che nascendo a Betlemme si identifica con i piccoli e i poveri: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me», dirà Gesù (cf Mt 25, 40. 45). Come dimenticare l’odissea del piccolo Sam, che solo qualche giorno fa ha avuto per culla un barcone ed è stato finalmente accolto a Malta, perché per lui e la sua mamma in Italia non c’era posto…

La televisione e i giornali ci presentano continuamente immagini di persone maltrattate da mercanti di carne umana senza scrupoli e da leggi discutibili varate di recente. Come discepoli di Gesù, non possiamo rimanere insensibili di fronte a quanti sono abbandonati e lasciati per strada senza nessuna prospettiva di futuro. Anche l’ONU si è rivolta agli Stati membri dell’Unione Europea per chiedere di «riconsiderare i costi umani delle loro politiche e dei loro sforzi per arginare la migrazione verso l’Europa». Perché il ritorno a una sovranità nazionale incontrastata non è certamente la risposta ai problemi del nostro tempo. Come se tirarsi fuori dal consesso internazionale e rinunciare ad elaborare soluzioni condivise fosse una via di uscita praticabile di fronte alle gravi sfide generate con insistenza dalla situazione mondiale.

Non esistono “razze” di malviventi, ma persone malvagie e persone giuste di ogni etnia, pelle e cultura. Non esiste la categoria dei “sospettati” da cui si sta pescando a piene mani per condurre il gioco duro e amaro del “noi e loro”, nel quale “loro” sono solo “gli altri”: un’aspra regola di esclusione e di espulsione che purtroppo tanti sembrano impegnarsi a dissotterrare dai cimiteri degli orrori del passato. Come ha affermato recentemente un autorevole uomo politico, «gli interessi elettorali hanno vinto sull’anima» (R. Prodi, Intervista al quotidiano “Avvenire”, 21 dicembre 2018, p. 9).

Come uomini e come cristiani non possiamo eludere la responsabilità morale nei confronti di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e rifiuto (cf Allocuzione di Papa Francesco ai nuovi Ambasciatori, 13 dicembre 2018).

Questa sia allora la grazia che oggi tutti imploriamo dal Padre: si riaccenda in noi la “memoria di Cristo”; di Colui che è «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (cf Gv 1, 9); di Colui che è il Verbo eterno che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (cf Gv 1, 14), come abbiamo ascoltato dalla luminosa pagina iniziale del vangelo di Giovanni.

Ciò che è avvenuto nella notte di Betlemme – ed è un altro dono del Natale – ci svela quanto siano inaspettati e originali i disegni divini, ci notifica le preferenze del Creatore e ci fa intravedere lo stile imprevedibile del suo agire. Ai pastori attoniti e stupefatti l’angelo dice: «Troverete un bambino» (Lc 2, 12). È tutta qui la grande notizia, che con tanta solennità il cielo ha comunicato alla terra. È questo dunque il “Messia”? Negli antichi testi profetici lo si preannunciava ammantato del fasto magnifico della regalità (cf Sal 2, 6; 110, 1-3), e i pastori lo vedono rivestito soltanto di povere fasce (cf Lc 2, 7. 12). Perché questo è da notare: l’unico agio e l’unico onore a cui il Figlio di Dio non ha voluto rinunciare è il segno disadorno ma affettuoso di una premura materna. Il Signore fa il suo ingresso nel mondo avvalorato della naturale attrattiva dell’innocenza e della tenerezza dei bimbi. Ci sorprende e sconcerta questa “umiltà divina”, nella quale però palpita il più grande mistero: un’ondata d’amore investe l’umanità e la purifica dalle sue insipienze e dai suoi egoismi.

«Troverete», dice anche a noi l’angelo del Natale. Voi che anelate a qualcosa che dia ragione e senso all’enigma dell’esistenza; voi che in fondo al cuore – nonostante le debolezze e le trasgressioni – aspirate a una vita redenta, perdonata, resa più degna; voi che, almeno per un istinto confuso, siete in attesa di Qualcuno che sul serio vi salvi, abbiate fiducia: troverete! Un’immensa carica di coraggio il Natale infonde in quanti almeno un poco cedono alla sua antica seduzione e alla sua gioia.

Nessuno di noi quindi si perda d’animo: troveremo. Purché non ci aspettiamo che siano la potenza, la ricchezza, il sapere mondano a dare alla nostra ricerca appassionata e incerta la luce, la liberazione dal male, la speranza. Non sono queste le strade sulle quali arriva il Signore a salvarci: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2, 12). Questa è la strada di Dio.

Camminare su quella strada ci permetterà di vivere davvero un “buon Natale”. Così sia per tutti noi, con l’augurio della gioia e della pace che dalla grotta di Betlemme si diffondono sul mondo.

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