«Prorompete in canti di gioia» (Is 52, 9), ci ha detto il profeta nella prima lettura. Nonostante il momento delicato che stiamo vivendo, la società continua ad obbedire a questo antico invito e con lo sfolgorìo di mille luci, con la consuetudine degli auguri e dei regali, con gli appuntamenti festosi delle famiglie e delle amicizie, moltiplica in questi giorni i segni di una esuberante allegrezza.
È la connotazione più simpatica del Natale e trae la sua origine dal messaggio che all’improvviso il cielo ha regalato alla terra. «Ecco vi annunzio una grande gioia» (Lc 2, 10), ha proclamato l’angelo ai pastori ignari e stupefatti che come tutte le notti vigilavano i loro greggi. E subito il giubilo irrompe da una «moltitudine di schiere celesti», che lodano il Signore e invocano pace per gli uomini che egli ama (cf Lc 2, 3-14).
«Prorompete in canti di gioia, rovine di Gerusalemme» (Is 2, 9). Nella parola di Dio Gerusalemme è spesso la raffigurazione e la cifra dell’umanità intera. Gli spettacoli che sono sotto i nostri occhi e i guai di cui facciamo quotidiana esperienza ci inducono a pensare che l’immagine della “rovina” non sia del tutto incongrua alla società di oggi e alla nostra stessa esistenza.
Le “rovine” sono gravi e molteplici: le guerre e le guerriglie non finiscono mai ed insanguinano anche la terra di Gesù; la miseria e la fame attanagliano ancora una gran parte della famiglia umana; i crimini commessi quotidianamente sulle nostre strade; il dilagare della droga; il rifiuto ed ora anche l’aggressione nei confronti di chi è diverso per provenienza, razza, cultura o religione; le disgregazioni familiari che penalizzano irreparabilmente i figli innocenti; l’uccisione della vita nel grembo materno, addirittura legalizzata e pubblicamente finanziata; l’innocenza dei minori atrocemente violata. A tutto ciò si aggiunge la preoccupante crisi economica e finanziaria che attanaglia l’Europa e fa sentire le sue gravi conseguenze anche qui da noi. Il mio pensiero solidale e preoccupato si dirige in modo particolare a quelle famiglie che oggi celebrano il Natale con sofferenza e trepidazione: il posto di lavoro perduto o a rischio, lo stipendio mensile che non arriva, nuovi e pesanti sacrifici economici da affrontare, un futuro che si delinea incerto e minacciato. Come ha scritto ieri il Cardinal Bagnasco, Presidente della CEI: «Forse, nel tempo, l’umanità non ha visto abbastanza, o forse non ha voluto guardare, ma una grande mutazione era in atto. Avrebbe costretto a rivedere gli stili di vita e, prima ancora, di lavoro, di fare economia e, soprattutto, finanza».
Questa, delle «rovine di Gerusalemme», è una triste litania che potrebbe a lungo continuare; e ci induce a domandarci: come è possibile in questo sfacelo dare spazio alla “gioia” annunziata dall’angelo?
Anche dall’intimo del nostro cuore non ci vengono voci più confortanti. Troppo spesso portiamo dentro di noi un fardello di amarezze che ci rende stanchi e delusi. Ci affligge la fatica del vivere, la paura del futuro, la mancanza di motivazioni forti e di prospettiva e si spegne la speranza. Assorbiti dall’ingranaggio del produttivismo e del consumismo, avvertiamo l’insoddisfazione propria di chi non si prospetta più nessun ideale. Siamo frustrati talvolta dai cambiamenti troppo rapidi e disorientanti, talvolta invece da un immobilismo delle ingiustizie che ci impedisce di pensare che le cose possano migliorare.
Il guardare in faccia la nostra situazione non vuole guastare la serenità natalizia ma piuttosto conferire ancora maggiore rilievo al dono che ci è venuto dall’alto; quel dono che ci consente di lasciarci conquistare dall’entusiasmo del profeta che ha detto a tutte le nostre miserie: «Prorompete in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo» (Is 52, 9).
La gioia esiste e, ci ha detto l’angelo, è alla portata di tutti: «Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2, 10). La gioia esiste ed è offerta a chiunque la cerca con cuore sincero. La gioia esiste, e ce l’ha recata dal cielo il Figlio eterno di Dio. Questa è la sostanziale “verità” del Natale.
Il segno per riconoscerla è inaspettato e sconcertante, come sono di solito le iniziative di salvezza di Colui che ha chiarito di sé: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55, 8). «Questo è per voi il segno: – ha indicato ai pastori il messaggero di Dio – troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 12).
Un bambino! Vale a dire, quanto di più debole, di più fragile, di più indifeso ci è dato di immaginare. Ma sta scritto: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1 Cor 1, 27). Quel bambino rende presente tra le nostre preoccupazioni e i nostri disagi l’ineffabile sorriso di Dio, che è capace di fugare e di vincere ogni ragione di sfiducia e di abbattimento.
Sulla distesa della vicenda umana – così monotona e così ripetitiva di sciagure e di colpe – finalmente è apparso qualcosa di diverso e di nuovo: il bambino che duemila anni fa è nato a Betlemme è quasi il fiore che buca la neve e sboccia sul gelo, inizio di una primavera inarrestabile che alla fine ringiovanirà il volto della terra e trasformerà in giardino di letizia il deserto delle nostre tristezze.
Ci chiediamo: come si fa a entrare nella realtà di rinnovamento e di gioia offerti a tutti dall’evento che celebriamo oggi? La risposta sta nella pagina luminosa del vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato: «A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali da Dio sono stati generati» (Gv 1, 12-13). Accogliere nella fede coerente ed operosa il Signore Gesù; accoglierlo non come uno dei grandi uomini, uno dei maestri di religiosità e di morale, una delle possibili guide nei molteplici percorsi spirituali, ma come l’unico e necessario Salvatore di tutti, come «la luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9), come il Verbo che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Questo è l’inizio della nostra risurrezione da tutte le possibili “rovine”, è «la vittoria che ha sconfitto il mondo» (1 Gv 5, 4), la sola strada della rinascita nostra e dell’intera umanità.
Questo Natale può cambiare davvero la nostra vita, se lo vogliamo. Non siamo riuniti in Duomo solo per commemorare un evento del passato, non celebriamo il Natale solo perché spinti da sentimenti di commozione e di tenerezza suscitati in noi dal Bambino. Noi viviamo il Natale se ci lasciamo coinvolgere dall’annuncio di Betlemme a livello personale, sociale, religioso. Personale, vivendo la vita con sobrietà, ridimensionando i nostri desideri di avere e di soddisfare il nostro egoismo; a livello sociale, ricercando la giustizia nei rapporti con gli altri e preoccupandoci del loro bene; a livello religioso, dando lode e gloria a Dio e servendolo in umiltà e letizia. Solo così il nostro Natale sarà veramente “buono”.
Buon Natale a tutti voi – allora -, alle vostre famiglie, ai vostri cari; buon Natale alla nostra città, alla nostra diocesi, al nostro Paese, a tutti gli uomini e donne di buona volontà. «Gloria a Dio e pace sulla terra».