In occasione della festa di S. Giuseppe Lavoratore, 1° maggio,
L’arcivescovo Boccardo, salutando la platea, ha definito l’incontro come un piccolo segno, un gesto simbolico che indica partecipazione: «Come Chiesa locale – ha detto – vogliamo renderci attenti e presenti, ogni giorno di più». L’occasione del 150esimo, poi, è un’esortazione a fare proprio l’invito che fece
In compito di moderare la tavola rotonda è spettato al direttore della Caritas diocesana, don Vito Stramaccia, che ha subito lasciato la parola a Vincenzo Menna, presidente delle Acli dell’Umbria. Questi si è soffermato sulla risposta a “quale può essere una politica per il lavoro, cristianamente ispirata”. Secondo Menna il fulcro sta nel riaffermare il valore soggettivo (e non oggettivo) del lavoro e riportare al centro la famiglia: due fattori strettamente legati. Parlando di diritto al lavoro, i dati sono sconcertanti: uno fra tutti indica che in Italia ci sono un milione e mezzo di giovani che non studiano e che hanno anche smesso di cercare lavoro, da cui si denota uno stato di demoralizzazione. È così che i tre pilastri che trovano risposta alla domanda sono: politiche ‘buone’ (e non buoniste) che conducano a un lavoro dignitoso; forti investimenti sulla formazione, che è un diritto; incentivazione dell’occupazione giovanile.
Una “azienda-perla” del territorio è sicuramente
Vincenzo Bianconi, presidente Federalberghi della Provincia di Perugia e imprenditore alberghiero di Norcia, ha riportato l’accento sul ruolo della famiglia, “la piattaforma da dove parte tutto”, sin da bambini. «Misurare come arrivare ai propri sogni – ha detto – porta alla competitività, e i valori cristiani e la famiglia sono un’opportunità. L’etica, negli ultimi anni, è diventata non solo un valore morale ma necessario per far risultare vincenti le aziende». Dunque, i rapporti umani sono fondamentali, soprattutto in una “regione vera” e mistica come l’Umbria. Per non lasciar morire tutto questo e per produrre sostenibilità, occorre far affidamento a una visione più globale, che veda nella valorizzazione delle tipicità locali la formula vincente: gli imprenditori alberghieri del Nursino, ad esempio, hanno deciso di ‘mitizzare’ coloro che abbracciano mestieri “apparentemente poco interessanti” (come l’agricoltore, il pastore,…) all’interno delle scuole con il progetto Salus per cibus, nella consapevolezza che la salute dipende prevalentemente dall’alimentazione. «Un progetto – afferma Bianconi – che mette in mostra come ‘eroi’ coloro che abbracciano queste professioni, allo scopo di invogliare i ragazzi alla formazione in questi settori. Occorre – ha concluso – mettersi in gioco: solo così, probabilmente, si potranno portare a casa certezze e serenità».
L’esempio della crisi che vive il settore agricolo è arrivata da Francesco Martinelli, imprenditore di Spoleto, 46 anni di cui 15 spesi in questo mestiere, sposato da 12 e con tre figli. La sua attività, agli inizi, era principalmente basata sulla barbabietola da zucchero ma, poi, si decise che l’Italia avrebbe dovuto abbandonare questa produzione. Ha così dovuto reinventare il tutto, sperimentando ortaggi estivi, pomodori, legumi e altro. Ma il vero problema è l’aumento delle materie prime che, spesso, superano il costo del prodotto nel caso di una piccola azienda. «Come posso dire ai miei figli di proseguire questa attività?», ha chiesto. «Bisogna rendersi conto che siamo tutti sulla stessa barca: imprenditori, politici, Chiesa. E dobbiamo dire basta e interrompere questa politica scorretta. Sono convinto che qualcosa si possa fare, insieme». E l’appello alla Chiesa: «si deve pretendere la tutela della famiglia, anche economica».
Il punto di vista di chi opera all’interno di un’industria come operaio metalmeccanico è stato portato da Bruno Agostini: ha vissuto il passato dalla vecchia alla nuova generazione Ims che, vivendo una forte situazione di disagio, è giunta nell’agosto 2011 alla cassa integrazione. «Si sono avvicendate due generazioni – spiega – che non sono riuscite da integrarsi: i grandi hanno provato a trasmettere ma noi giovani non abbiamo appreso ed era tutto lecito per arrivare al posto di lavoro fisso. Abbiamo creato un sistema malsano che ora è difficile arginare. In più, c’è stata la crisi e l’avvicendarsi di direzioni che hanno creato grosse lacune». Da qualche mese, qualcuno a ripreso a lavorare ma con stipendi posticipati anche di due mesi e, alcuni, per assicurare ciò che serve alla famiglia, preferiscono la decurtazione dello stipendio attraverso la cassa integrazione. «È una situazione in cui viene a mancare la dignità, non solo come uomo ma come lavoratore – afferma – Il paradosso è che si torna a lavorare in bicicletta o a piedi e c’è chi preferisce fare due pasti in azienda. Penso che le bugie di questi anni stanno portando alcune famiglie spoletine al collasso». La soluzione, secondo Agostini, sta nell’abbandonare il falso mito del “più sveglio” e privilegiare i valori tramandati dagli anziani ovvero la dignità, l’onestà, l’umiltà e tornare al valore della “parola data”.