È iniziato martedì 7 giugno a Roccaporena di Cascia il ritiro del clero dell’Archidiocesi di Spoleto-Norcia, che si concluderà giovedì 9 giugno. Nel paese natale di S. Rita si sono riuniti insieme all’Arcivescovo Renato Boccardo tutti i preti, secolari e religiosi, parroci e vice parroci, quelli che per raggiunti limiti di età hanno lasciato incarichi ufficiali. Tre giorni per riflettere su alcuni aspetti della pastorale come la catechesi, la figura del prete per le parrocchie di oggi, la presenza della Chiesa nella società.
Il primo aspetto trattato è stato, appunto, la catechesi. Don Andrea Lonardo, direttore del centro catechetico del Vicariato di Roma, ha parlato di “Catechesi: gabbia o trampolino?”. Con grande passione, ha fatto emergere criticità e potenzialità dell’attuale metodo di catechesi. Senza giri di parole ha affermato che “la fede è gioia e che spesso i nostri catechisti non riescono a trasmettere ciò ai bambini e ai ragazzi, riducendo la catechesi ad una gabbia”.
Per il sacerdote è necessario che nei percorsi di introduzione alla vita cristiana sia lasciato spazio alla croce: “i catechisti – ha detto – devono spiegare bene, in quanto sono i primi a farlo, il significato della croce ai bambini, quella croce sulla quale Gesù ha amato, ha portato l’amore di Dio. Il catechismo non può ruotare solo intorno ai campi estivi, ai giochini, alla scampagnata. Cari confratelli preti – ha affermato – dobbiamo saper coniugare la conoscenza con l’amore, cioè il logos con l’agape. Così riusciremo a conquistare menti e cuori, così la catechesi sarà un trampolino”. Don Lonardo ha fornito anche alcuni suggerimenti: come prima cosa ha detto che la catechesi non deve essere solo biblica, ma anche culturale. Quindi, affrontare anche autori della letteratura come ad esempio Dante, invitare un docente di filosofia che spieghi ai ragazzi come fede e ragione non sono necessariamente due rette parallele che non si incontreranno mai, lasciare spazio ad una coppia di sposi che testimonino come l’amore è forte e solido anche dopo cinquanta anni di matrimonio. “La forza della catechesi – ha ripetuto più volte – sta nell’essere dono per tutti e non solo per i più piccoli. Essa è il dono di Dio per l’uomo. Mi raccomando – ha ricordato ai preti – di investire molte energie sull’educazione alle relazioni con le persone, relazioni semplici, fatte di accoglienza e sorrisi. La catechesi ha bisogno di questo, ma soprattutto ha bisogno della Chiesa e della sua liturgia che ci consente di fare esperienza di Dio; essa ci apre all’uomo, ci aiuta a riflettere sul senso della vita”.
Al termine della relazione di don Lonardo, sono state presentati alcuni percorsi sperimentali di catechesi tenuti in tre parrocchie della nostra Archidiocesi – Norcia, Bevagna e Castel Ritaldi – finalizzati all’individuazione di percorsi più efficaci di iniziazione cristiana rispetto all’attuale ora di catechismo settimanale. Il primo a prendere la parola è stato mons. Mario Curini arciprete di Norcia. Nella città di S. Benedetto il cuore dell’attività catechetica per bambini e ragazzi è la celebrazione eucaristica domenicale. Una volta al mese vengono convocati i genitori, ai quali vengono illustrate le proposte di accompagnamento alla vita cristiana dei figli. L’obiettivo è quello di favorire un graduale inserimento della famiglia nella comunità parrocchiale. Questa sperimentazione prevede che a dieci anni i bambini ricevono, lo stesso giorno, il sacramento dell’eucaristia e della confermazione. Poi, ha preso la parola don Marco Rufini priore di Bevagna. Anche lì c’è un incontro al mese: uno per i bambini tenuto dai catechisti e uno con i genitori tenuto dal parroco per un tempo di almeno due ore. Il catechismo quotidiano viene fatto a casa dai genitori. Quest’anno si è iniziato con i più piccoli. Don Rufini ha parlato di una partecipazione inaspettata e fedele, anche da parte dei papà. Il sacerdote ha detto: “di sicuro non abbiamo peggiorato il metodo rispetto al passato. Ci vorranno degli anni per dire se è la strada giusta”. L’ultima esperienza presentata è stata quella di Castel Ritaldi. Don Fabrizio Maniezzo ha spiegato che un gruppo di persone ha elaborato con lui alcuni fascicoli inviati alle famiglie per spiegare l’attuale metodo di catechismo usato e quello che si potrebbe realizzare. Poi, è stato realizzato un opuscolo di catechesi e si è iniziata la sperimentazione con i più piccoli. Si tratta di 4 o 5 incontri, di cui uno comunitario ai bambini e ai loro genitori che hanno così la possibilità di condividere alcune attività (teatro, giochi ecc…). Non c’è un limite di tempo per i sacramenti: saranno i genitori, i bambini e i catechisti a dire quando è il momento opportuno di farli. Ogni incontro si articola in cinque fasi: accoglienza festosa dei bambini; conoscenza della tematica da affrontare; esperienza concreta sulla tematica; preghiera; relazione, cioè farsi carico di un impegno da realizzare a casa e per la cui risoluzione è necessario il coinvolgimento dei genitori. Alla fine degli incontri c’è una grande festa. Queste sono solo alcune ipotesi per tentare di rendere più efficace la catechesi. Non è necessario renderle obbligatorie in tutte le parrocchie, perché ogni comunità dovrebbe articolare il proprio percorso di catechesi tenendo conto delle peculiarità e delle tradizioni presenti in un dato territorio.
Prosegue a Roccaporena il ritiro del clero. Mercoledì 8 giugno, seconda giornata, il tema affrontato è stato: “Quale prete, quale parrocchia per domani”? La riflessione è stata tenuta da don Erio Castellucci della Diocesi di Forlì, Preside della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna. Il sacerdote nella parte principale del suo intervento ha sottolineato come sia necessario per il prete di oggi passare ad un modello di corresponsabilità con i laici. Il laico nel passato era il supplente del prete. Con Papa Pio XI è divenuto il delegato del prete. Il Concilio Vaticano II parla di collaborazione tra il laico e il sacerdote. Gli ultimi due pontefici, il beato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, parlano di corresponsabilità. E ciò non per supplire alla carenza, pur vera, dei preti, ma per permettere ai ministri del Signore di dedicare maggiori energie alla Parola di Dio, allo studio, all’annuncio. Per fare questo, ha affermato don Castellucci, è necessario formare bene i laici (formare cioè i formatori) e, soprattutto, riscoprire il ruolo del presbiterio come condivisione del ministero col Vescovo. “Gli incontri formativi tra noi preti – ha detto – sono considerati come un peso, un obbligo da assolvere. Invece, li dobbiamo concepire come degli appuntamenti di famiglia che ci consentono di riscoprire l’essenzialità del nostro ministero, del quale non siamo i detentori. Infatti, non siamo i padroni della parrocchia, ma in essa veniamo inviati dal Vescovo e rappresentiamo l’intero presbiterio”. Insomma, oggi il prete in una comunità non deve più essere il tuttofare della situazione, non è più l’unico detentore del sapere. La gente dal sacerdote non vuole ascoltare la lezione di morale, ma ha bisogno di motivazioni riguardo alla fede. E qui l’invito di don Erio Castellucci ai preti: “spesso trascuriamo la preparazione delle omelie, lasciando spazio all’improvvisazione. Preparare bene un’omelia vuol dire pensare al nostro popolo. Non è una perdita di tempo farlo. Noi preti quando andiamo al pulpito dobbiamo sapere quello che diciamo”. Per quanto riguarda la formazione dei laici, questi vanno coinvolti nei vari aspetti della vita della parrocchia. “Spesso – ha detto – per noi preti è più comodo dire ‘sono io che decido, poi chi vuole mi segua’. Ma il futuro non è questo, prevede un prete sempre meno factotum e sempre più dedito all’annuncio della Parola, alla liturgia, alla guida pastorale della comunità. Quindi sarà sempre maggiore la corresponsabilità con i laici”. Poi, ha invitato i presbiteri a privilegiare gli incontri personali del prete con i fedeli. “La relazione tu per tu, meglio conosciuta come direzione spirituale, è molto importante. Dedicare del tempo all’ascolto dà un’impronta molto forte del Buon Pastore che ama le pecore una ad una”.
Giovedì 9 giugno 2011
Il ritiro del clero si è concluso giovedì 9 giugno: al mattino c’è stata la relazione del Prof. Luca Diotallevi, sociologo all’Università Roma Tre, sul ruolo del prete nelle società attuale. Nel pomeriggio sono state presentate alcune attività da realizzare nell’anno 2011-2012. Alle 18.30 l’Arcivescovo ha presieduto la messa conclusiva del ritiro.